di Pietro Salvatori

Come le tessere di un domino che vanno giù una dopo l'altra, cadono i tentativi di accordo tra Partito democratico e Movimento 5 stelle nelle grandi città. Enrico Letta piccona la Raggi ("Il mio giudizio è molto negativo") e chiude la porta a qualsivoglia intesa sia a Roma sia a Torino ("A Roma e Torino non c'è possibilità di alcuna convergenza") assicurando il pannicello caldo di un "rapporto con M5s che va avanti", mentre Giuseppe Conte spiega al Fatto che "con il Pd sono impegnato in un dialogo alla pari, senza alcuna subalternità".

Dialogo che al momento ha portato a due fumate nere. Su Roma la distanza è conclamata, preso atto del "rammarico" di Letta per l'occasione sprecata, con l'alleato che ammette di aver fatto franare la candidatura di Nicola Zingaretti avendo avvertito i Dem "che avrebbe potuto avere ripercussioni serie sulla tenuta del governo regionale" facendo spallucce: "Non ci stracciamo le vesti se non proponiamo una soluzione congiunta".

C'è poi Torino, dove Letta dà la partita per chiusa, mentre Conte in un estremo sussulto dice con l'ottimismo dei volenterosi che "c'è un candidato della società civile che può mettere insieme tutti ed essere molto competitivo", cercando di mettere una pezza al secco no di Chiara Appendino su un eventuale appoggio ai Dem in vista del ballottaggio.

Nel domino Napoli al momento rimane in piedi. I borbottii per il passo indietro di Roberto Fico si rincorrono ("Fa sempre così, si sfila quando c'è da combattere, con lui avremmo vinto") ma regge l'intesa sull'ex ministro dell'Università Gaetano Manfredi, notevoli chance in meno rispetto al presidente della Camera.

Traballa Bologna, che pure era la città dove l'intesa sembrava più solida, dove più si era seminato. Un discorso partito da lontano, da dopo le ultime elezioni regionali. Max Bugani, storico colonnello regionale di M5s, è d'altronde uno che non ha mai nascosto le sue idee e ha sempre spinto il Movimento verso il campo progressista, intrattiene da mesi ottimi rapporti sia con Stefano Bonaccini che con le diverse anime della sinistra, da Pier Luigi Bersani al mondo che ruota intorno all'attuale vicepresidente dell'Emilia Romagna, Elly Schlein. 

Era tutto fatto: tre candidati alle primarie Dem, favorito l'attuale assessore alla Cultura Matteo Lepore, tutti e tre con ottime entrature nel mondo 5 stelle. "Avete preferenze?", la domanda di cortesia rivolta ai pentastellati, "no, non ci intromettiamo nelle vostre scelte", la garbata risposta. La prospettiva di un candidato organico al Pd appoggiato da una lista M5s, una prima volta assoluta, rischia di andare a sbattere. Perché nella giostra delle primarie si è inserita anche Isabella Conti, renziana sindaca di San Lazzaro, trasformando le primarie di partito in primarie di coalizione.

"Ma noi a questo punto non possiamo starci", ha ribadito Bugani, mettendo in naftalina l'accordo. Un no grazie alla proposta di far correre anche un esponente del Movimento ai gazebo, "perché si snatura il senso della coalizione", ma anche perché il mai con Renzi rimane una bussola ben radicata da quelle parti. La base mormora, ma se a uscire vincitrice dalle primarie non dovesse essere l'esponente di Italia viva l'accordo si dovrebbe celebrare. "Ma io in coalizione con Renzi comunque non ci andrei mai", spiega un parlamentare locale, un malumore che lambisce il capoluogo emiliano e getta un'ombra su quella che potrebbe essere l'unica carta vincente dei giallorossi. O forse l'unica carta e basta.