di GIORGIO MERLO

L’alleanza tra il Partito democratico e il partito dei 5 stelle ha subito nuovamente una battuta d’arresto. Detto in altri termini, può ancora attendere. O meglio, sempre se abbiamo ben capito, è sospesa per il primo turno delle amministrative di ottobre dove si eleggeranno i governi locali delle più importanti città italiane e poi dovrebbe riprendere a tutto spiano in vista delle prossime elezioni politiche. Detta così, in effetti, è una osservazione che fa un po’ sorridere. Ma in realtà è proprio come l’abbiamo descritta. E a farne le spese per tutti questa volta è stato addirittura Nicola Zingaretti, l’ex segretario nazionale del Pd che dopo aver rinnegato per mesi, e pubblicamente, l’alleanza con il partito di Grillo l’ha poi ribattezzata come addirittura “storica” per poi ricevere l’altolà proprio dai grillini romani che non hanno affatto gradito la sua “disponibilità”, si fa per dire, a candidarsi a sindaco della città contro Virginia Raggi.

Sembra un paradosso eppure le cronache concrete, al di là delle frasi ad effetto, ci dicono che l’alleanza tra i 5 stelle e il Pd continua a essere una sorta di “historia dolorum” dove non si capisce ancora bene come possa essere costruita e consolidata sui territori. Perché un conto sono le pianificazioni a tavolino a livello nazionale e altra cosa, tutt’altra cosa, capire l’orientamento reale dei due elettorati a livello periferico. E questo per un motivo persino semplice da spiegare. Quando un partito, per esempio, ha una precisa identità politica e una mission sbandierata per anni - penso al partito anti sistema, anti casta, anti politico, anti parlamentare e marcatamente populista dei 5 stelle - è difficile poi far sì che l’elettorato di riferimento si adegui rapidamente a una nuova identità e a una nuova mission. Quella, per intendersi, illustrata a più riprese dal futuro (?) capo di quel partito Giuseppe Conte.

E, non a caso, è bastato aprire il confronto a Roma e a Torino per verificare la possibilità/opportunità per dar vita a una alleanza tra i due partiti per rendersi conto che tutto ciò che è stato pensato e congegnato nelle segrete stanze romane è stato puntualmente respinto senza neanche essere preso in considerazione. A conferma che l’elettorato non è un esecutore passivo degli ordini che arrivano dall’alto ma una comunità che, al contrario, deve metabolizzare e maturare il potenziale cambiamento di linea politica e di prospettiva culturale e programmatica del suo partito. E proprio l’incontro dell’ex premier Conte a Torino con i pentastellati l’ha ampiamente confermato.

Per non parlare della vicenda di Roma dove dobbiamo prendere atto, piaccia o non piaccia è così, che la leadership politica di Virginia Raggi ne è uscita fortemente rafforzata - e anche con grande coerenza e determinazione - dopo le manovre di potere studiate con relativi escamotage regolamentari e condotte dai vertici dei due partiti per intere settimane. Una leadership che ha cancellato, in un sol colpo, le mire di potere di Zingaretti da un lato e che ha evidenziato - ed è quel che più conta - che non sempre le strategie politiche coincidono con il volere concreto dei rispettivi elettorati.

Ora, se l’obiettivo politico finale resterà sempre quello di dar vita a una alleanza “organica, strutturale e storica” tra la sinistra italiana e i 5 stelle, è indubbio che prima di sbattere contro il muro dell’incomunicabilità politica o prendere atto della non condivisione dei rispettivi elettorati, sarà opportuno anche verificare ciò che concretamente pensano i territori. Perché senza questo passaggio si corre seriamente il rischio che il tutto finisca come a Roma e a Torino. Cioè, ognuno per conto suo e con le rispettive liturgie organizzative. In attesa che ritorni la politica. Quella vera, però, e non solo quella ispirata al trasformismo e all’opportunismo. Ed è proprio lungo questa strada che il capitolo delle alleanze, soprattutto se resterà l’impianto maggioritario, ritornerà ad essere centrale nel dibattito politico italiano. Purché il dibattito faccia prevalere le ragioni squisitamente politiche attraverso un confronto dove le alleanze, appunto, siano un elemento centrale ed essenziale dell’agenda programmatica del nostro Paese.