di UGO MAGRI

Senza offesa: questo Parlamento si regge per via del Covid. Se non ci fosse la pandemia, e se l’Italia non avesse urgenza di approvare una sfilza di riforme necessarie al Recovery, le due Camere sarebbero già state sciolte da un pezzo. Il presidente della Repubblica ne avrebbe avuto molte ragioni. Ad esempio, non è normale che un organo di rappresentanza tiri avanti con quasi mille parlamentari dopo avere approvato una riforma per sfoltirli di almeno un terzo. L’innovazione vale per il futuro, è vero; ma agli occhi dei cittadini, chiamati a esprimersi con referendum, è come se in Parlamento sedessero 345 abusivi; Covid permettendo, sarebbe stato logico ridare voce al popolo. Anche perché, dalle ultime elezioni a oggi, la mappa politica è tutta cambiata: dei nostri attuali onorevoli, ben pochi verrebbero riconfermati. Come se non bastasse, le Camere non sono in grado di esprimere una maggioranza.

A chi tornasse da un viaggio su Marte bisognerebbe dedicare ore per spiegare le novità: prima il governo giallo-verde, poi quello giallo-rosso, adesso l’unità nazionale che Sergio Mattarella ha promosso sempre per via del Covid e dei miliardi da scucire all’Europa. Sennonché questo Parlamento popolato di zombie, politicamente delegittimato, non più specchio del Paese reale, tra meno di otto mesi sarà chiamato a eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Dovrà piazzare alla sommità delle istituzioni una figura destinata a restarvi per 7 lunghi anni, coprendo l’arco di ben tre legislature: l’ultimo scampolo di questa, tutta la successiva e l’avvio di quella ancora dopo. Come dire che verrà ipotecato il futuro proprio da coloro che, di futuro, ne hanno più poco. La conseguenza?

Potremmo ritrovarci a gennaio con un capo dello Stato già “vecchio” in partenza, figlio di equilibri giurassici. E questo presidente-dinosauro, appioppato ai posteri da un Parlamento con la valigia in mano, finirebbe col trasferire il suo peccato d’origine alla funzione che esercita, indebolendo la leadership del Quirinale specie nei passaggi di crisi. Verrebbe meno l’autorevolezza necessaria per mettere in riga i partiti e, se occorre, per suonare la campanella di fine ricreazione. La “moral suasion” presidenziale verrebbe accolta da grasse risate.

Ma c’è di peggio. Se alle elezioni politiche si affermasse una maggioranza diversa da quella che l’ha eletto, nessuno vorrebbe trovarsi nei panni del futuro presidente. Gli toccherebbe inghiottire sorsate di fiele: affidando l’incarico di governo a personaggi sgraditi, controfirmando provvedimenti che magari gli ripugnano, rischiando addirittura l’impeachment nel caso in cui volesse mettersi di traverso. Saremmo perennemente sull’orlo della crisi istituzionale. Purtroppo, resettare il Parlamento con nuove elezioni per adesso non si può. Dal 3 agosto, col “semestre bianco”, sarà addirittura vietato sciogliere le Camere. Dunque saranno gli attuali deputati e senatori a scegliere il successore di Mattarella. Piaccia o meno, toccherà a loro farsi carico dell’incombenza. Ciò significa che non avremo scampo? Che saremo condannati a una presidenza debole, perennemente sulla difensiva? Non è detto.

Un rimedio in realtà ci sarebbe. Per evitare di compromettere il futuro, basterebbe scegliere un presidente per tutte le stagioni. Una figura, cioè, rispettata e rispettabile tanto adesso quanto nelle prossime legislature in quanto di autentica garanzia, indiscutibilmente super partes e come tale accettata da tutte le forze politiche se possibile già al primo turno, evitando lo scannatoio dei voti segreti e dei franchi tiratori. Di personaggi all’altezza per storia personale, indipendenza politica e levatura morale, qualcuno ne abbiamo. Ci sarebbe Mario Draghi che, qualora lo volesse, potrebbe trasferirsi sul Colle e da lì sovrintendere la ricostruzione post-Covid secondo un inedito schema semi-presidenziale alla francese; c’è lo stesso Mattarella, il quale è contrario a un secondo mandato ma forse non si tirerebbe indietro se fosse necessario per evitare il peggio. Altri candidati (uomini o donne) potrebbero emergere applicando un briciolo di fantasia.

In fondo, a pensarci bene, sarebbe l’uovo di Colombo. Purtroppo la corsa al Colle è già lanciata, con presupposti parecchio diversi. La poltrona fa gola, e in pochi si preoccupano delle nostre povere istituzioni. L’unica cosa che davvero interessa è andarsi a sedere lassù, magari facendo leva su qualche maggioranza raccogliticcia, un po’ di voti qua e un po’ là, perfino da Berlusconi. La tentazione è forte - spiace dirlo - soprattutto dentro il Pd, mascherata dal nobile intendimento di sbarrare la strada a Salvini: piuttosto che cercare intese col Capitano, c’è chi preferirebbe eleggere un presidente di parte. Perciò debole, ricattabile e figlio di un Parlamento screditato.