"Pensa alle madri di Plaza de Mayo davanti alla casa Rosada di Buenos Aires. Una delle immagini più angosciose del nostro tempo, per chi ha una vera coscienza democratica. È dal 30 aprile 1977, da quando una feroce dittatura ha sottratto loro e mai più restituito un figlio, un nipote, un fratello, che queste donne si riuniscono ogni giovedì nella piazza dove c'è il palazzo presidenziale. Donne come Hebe de Bonafini vogliono sapere che fine hanno fatto i loro cari e perché questo atto, più crudele di un assassinio dichiarato, sia rimasto impunito anche con il ritorno della democrazia".

Leggo, con emozione e commozione, il bellissimo libro di Gianni Minà, edito da minimum fax, dedicato al più grande calciatore di tutti i tempi, un sognatore ribelle e fuggitivo, il mio Borges della pelota: Maradona, "Non sarò mai un uomo comune", Il calcio al tempo di Diego.

In queste lucenti pagine, che raccolgono le interviste del giornalista e scrittore al fuoriclasse argentino scomparso lo scorso anno, ho ritrovato il cuore, l'anima e il furore del rebelde che ho avuto la fortuna di conoscere nelle sue stagioni a Napoli, poi a Siviglia, in tante partite con la Selección e più avanti nel tempo.

Un calciatore superbo e un uomo che non è mai sceso a compromessi, lottando contro il potere, contro la dipendenza dalla cocaina, contro i suoi fantasmi, sempre al fianco degli umili, degli ultimi.

Scrive Minà: "Maradona, eroe in campo, era fragile nella vita privata". Ma Dieguito, anche nei momenti più difficili della sua esistenza, non ha mai venduto il suo orgoglio, non ha mai chinato la testa: è stato sincero, esagerato, sempre sospeso tra la sua grandezza e la sua leggerezza: "Un uomo spesso nella polvere ma un giocatore quasi sempre sull'altare, un frutto prodigioso di quella inesauribile scuola argentina che ha prodotto tanti campioni, tra cui Pedernera e Di Stéfano, Sivori e Batistuta, fino a Messi". Messi, che Maradona considerava il suo erede.

Diego aveva trovato in Minà un amico vero e sincero, un fratello maggiore. Il confidente che mai lo avrebbe mai tradito. E con Gianni, che ha da poco compiuto 83 anni, l'asso di Villa Fiorito si lasciava andare, senza remore, senza finzioni, senza maschere:

"Se uno vuole colpire il pallone e pensa al denaro, quando disputerà la giocata, la partita, il campionato, bene, è sicuro che quel pallone lo giocherà male. Io non mi dimentico mai che il calcio è un sentimento popolare, anzi un modo di sentire popolare. E nel caso dell'Argentina, la mia terra, è un po' come il tango, cioè un rito, una cerimonia, un sentimento unificante. Il tango una volta si ballava, ora si ascolta, come il calcio che si guarda, ma si sente anche. Non te ne sei accorto? Il calcio ha un suo rumore, un suo profumo, una sua vibrazione. È un sentimento popolare, te l'ho detto".

Qui troviamo tutti i pensieri, tutte le verità, tutte le debolezze di Maradona: le sue prodezze sul prato verde, le sue battaglie sociali e politiche, i suoi errori, la sua bellezza, perché in tutto c'è stata bellezza, il suo combattere il potere del calcio, il calcio dei padroni e degli affari, il calcio che, lentamente ma inesorabilmente, ha ucciso la fantasia e il dribbling.

Diego con Gianni si è sempre mostrato nudo, autentico, e questo libro raccoglie il senso di tutto il suo amore, di tutta la sua passione e di tutta la sua rabbia. Dieguito mi manca, ci manca. E io lo ritrovo ogni volta che, in una piazza di quartiere o su un campo di periferia, vedo un bambino palleggiare e sorridere. In quel momento ricomincia la magia del pallone, in quel momento ritorna a rivelarsi e stupirci il mito senza fine del Pibe. Eterno fanciullo.

di Darwin Pastorin