DI MARCO FERRARI

“Sono italiana e voglio morire italiana”: così disse Alida Valli al termine dei suoi giorni, nel 2006 all’età di 85 anni. Alida Maria Altenburger von Marckenstein und Frauenberg nacque il 31 maggio 1921 a Pola, in Istria. Madre pianista e padre professore di filosofia e critico musicale con ascendenze aristocratiche, si trasferì in Italia per frequentare il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, esordendo nel cinema a soli 15 anni, nel 1936, nel film drammatico di Enrico Guazzoni “I due sergenti” assieme a Gino Cervi e Antonio Centa. Con altre cinque allieve del Centro Sperimentale, in quella pellicola interpretava la parte di una delle commesse di un emporio. Da allora una sfavillante carriera che ha portato Alida Valli, suo nome d’artista, a diventare una delle più grandi attrici che il panorama cinematografico italiano abbia mai avuto. Nel centenario della nascita sono previste rassegne, mostre e documentari dedicati a lei che, da icona del “cinema dei telefoni bianchi”, divenne l’attrice prediletta dei grandi registi del secondo Novecento portando il suo curriculum a 110 pellicole girate tra il 1935 al 2002, a 15 tra sceneggiati e film per la televisione e centinaia di serate a teatro. Una bellezza proverbiale ed enigmatica che ha condotta a essere protagonista di pellicole passate alla storia, “Senso”, “Piccolo mondo antico”, “Novecento”. Ma anche a livello internazionale la sua immagine compare in numerosi lavori. Nonostante questa carriera, nel 2003 la Valli si è ritrovata quasi in miseria e, grazie all’aiuto di alcuni suoi amici, le fu concesso il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli.
Dopo l’epoca dei film sentimentali, la Valli si afferma come attrice drammatica nel 1941 con “Piccolo mondo antico” diretto da Mario Soldati, tratto dall’omonimo libro di Antonio Fogazzaro edito nel 1895 per il quale riceve il premio come migliore attrice dell'anno alla Mostra del Cinema di Venezia. E’ il trampolino di lancio verso Hollywood dove giunge nel 1947 quando il produttore e sceneggiatore statunitense David Selznick la invita ad Hollywood con il progetto di farla diventare la "Ingrid Bergman italiana". Lo stesso anno gira insieme a Gregory Peck e Ann Todd l'ultimo film girato da Alfred Hitchcock, “Il caso Paradine”, prodotto appunto da Selznick. Arriva sul set a riprese già iniziate e non ha il tempo di imparare la parte, così recita dall'inizio alla fine con un suggeritore che le detta le battute. Nel 1948 conquista un ruolo da protagonista nel film “Il miracolo delle campane” di Irving Pichel con Frank Sinatra e l’anno successivo interpreta un capolavoro del cinema americano, “Il terzo uomo” di Carol Reed accanto a Joseph Cotten ed Orson Welles. Per dissidi con il produttore nel 1951 rientra in Italia, ma fatica ritrovare ruoli adatti al suo carisma: tre anni dopo Luchino Visconti la sceglie per “Senso” e nel 1957 Michelangelo Antonioni affida al suo volto il successo avuto dal film “Il grido”. Nello stesso anno il regista Gillo Pontecorvo la vuole nel cast di “La grande strada azzurra” consacrandola come interprete di film di qualità. Per questo verrà selezionata da altri registi di grido: Franco Brusati in “Il disordine” (1962) e Pier Paolo Pasolini in “Edipo re” (1967). Negli anni Settanta diventa l’attrice più richiesta di Cinecittà: lavora con Bernardo Bertolucci in “Strategia del ragno” (1970), con Valerio Zurlini in “La prima notte di quiete” (1972), accanto ad Alain Delon, con Mario Bava nel film “Lisa e il diavolo” (1972). Nel 1976 è nel cast del kolossal di Bertolucci “Novecento”, ambientato nella sua Pianura Padana. Nel 1977 cambia stile e partecipa al primo film interpretato da Roberto Benigni, “Berlinguer ti voglio bene”. Di nuova una svolta in stile horror con Dario Argento che le affida due ruoli inquietanti in “Suspiria” (1977) e “Inferno” (1980). Per riprendersi, lo stesso anno recita come protagonista nello sceneggiato televisivo “L'eredità della priora” di Anton Giulio Majano. Nella sua carriera ha ricevuto molti riconoscimenti senza raggiungere l’Oscar: il Nastro d'argento per “Eugenia Grandet” di Mario Soldati nel 1947, la Grolla d'oro per “Senso” nel 1955, il David di Donatello come migliore attrice non protagonista nell’opera “La caduta degli angeli ribelli” (1982) e a quello alla carriera nel 1991. Nel 1997 ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia.
Nel 2004, la Croazia aveva deciso di premiarla come grande artista croata, ma lei ha rifiutato il premio. Nel 1995 sono state pubblicate due sue biografie, "Il romanzo di Alida Valli" di Lorenzo Pellizzari e Claudio Valentinetti (Garzanti) e "Alida Valli" di Ernesto G. Laura e Maurizio Porro (Gremese). Lo scorso anno il regista Mimmo Verdesca ha realizzato il docu-film “Alida” contenente fotografie e filmati inediti custoditi dai figli e dai nipoti dell'attrice. La produzione è della Kublai Film e di Venice Film, in associazione con Istituto Luce-Cinecittà e in collaborazione con Rai Cinema. Il film uscirà questi giorni nelle sale italiane in occasione del centenario della nascita di Alida Valli. L’attrice istriana sarà ricordata anche con una rassegna che si terrà alla Casa del Cinema di Roma. A portarne avanti il suo ricordo sono ovviamente i suoi familiari, soprattutto chi ha ereditato da lei la passione per il mondo dello spettacolo. Pierpaolo de Mejo è il nipote che ha preso dalla celebre nonna la voglia di fare cinema in qualità di attore e regista.

“Ho avuto paura - ha sostenuto il giovane - che la sua figura, così riservata e poco appariscente nel corso della sua esistenza, andasse gradualmente sparendo nell’immaginario collettivo. Mia nonna non parlava molto del suo lavoro, ma insieme abbiamo rivisto tutti i suoi film. Perché era unica? Aveva sofferto molto, anche per amore. Poi perché era dotata di un’enorme ironia, era modernissima, una purosangue come diceva di lei Mario Soldati”. Dunque, una figura complessa, come lei stessa ebbe modo di dire prima dell’addio: “Quando sono sulla scena o davanti ad una macchina da presa dimentico la mia antica timidezza, la difficoltà che ho da sempre nel fare nuove amicizie”. E poi un'ultima confessione: “A Hollywood stavo davvero male, non ero libera. Sensazione terribile, ti programmavano tutto. Per poter girare ‘La torre bianca’ nel '50 con Glenn Ford ho dovuto tener nascosta la mia maternità. Non volli mai la cittadinanza americana, al contrario di mio marito Oscar De Mejo”.