di Claudio Madricardo

Domenica 6 giugno poco più di venticinque milioni di peruviani saranno chiamati a scegliere il nuovo presidente tra Pedro Castillo, un maestro e dirigente sindacale di sinistra che si presenta per Perù Libre, e Keiko Fujimori, leader di Fuerza Popular, sotto indagine giudiziaria per aver ricevuto finanziamenti non dichiarati provenienti dall'azienda di costruzioni brasiliana Odebrecht, la madre di tutte le tangenti in America Latina, e dal capo del principale gruppo finanziario del Paese. Accuse che potrebbero costarle trent'anni di galera qualora fosse condannata.

Per Keiko, esponente della destra peruviana e figlia di Alberto Fujimori, l'autocrate che governò il Paese per dieci anni dal 1990, condannato per corruzione e per crimini contro l'umanità, si tratta del terzo tentativo di scalata alla presidenza del Paese andino. Dopo essere stata sconfitta nel 2011 da Ollanta Humala e cinque anni dopo da Pedro Pablo Kuczynski.

Nel corso della campagna Keiko ha saputo recuperare il grande svantaggio con Castillo dal quale ora la distanzia poco in percentuale, a tal punto che ormai si parla di pareggio tecnico, risultando rovesciato un pronostico che solo pochi mesi fa pareva offrire un esito scontato.

Con una grave pandemia in corso e con il conseguente aggravarsi della situazione economica, il Perù va alle urne in una situazione di profonda polarizzazione, dove con tutta probabilità poche migliaia di voti decideranno il vincitore e dove conseguentemente è di gran peso la scelta degli incerti.

Non poteva essere che questo, quindi, l'obiettivo che i due candidati si sono prefissi durante il secondo e ultimo dibattito pubblico svoltosi domenica sera ad Arequipa, approfondendo i motivi identitari che possono attrarre il voto degli indecisi. Il confronto verteva su temi come la salute e la gestione della pandemia, l'economia e l'occupazione, l'educazione, la lotta alla corruzione, i diritti umani e le politiche sociali.

Tutti temi sui quali Keiko Fujimori è passata all'attacco, presentandosi come colei che difende le libertà minacciate dalle politiche del suo avversario, accusato di essere vicino ai terroristi, comunista, chavista e di voler fare del Perù un nuovo Venezuela. Ha presentato una sventagliata di proposte di incremento della spesa pubblica, necessaria a superare la crisi economica dovuta al Covid-19, incluse la promessa di alzare il salario minimo e quella di concedere un credito agli imprenditori che potranno restituirlo dopo cinque anni, con facilitazioni per la creazione di nuove imprese e esenzioni fiscali.

Da parte sua Castillo, che trae il suo appoggio popolare dalle aree rurali mentre Keiko è in vantaggio in quelle urbane della capitale, è apparso più pacato e ha insistito sulla sua rettitudine e sulle sue umili origini, facendo riferimento alla sua vicenda personale e professionale, ricordando come in Perù fujimorismo sia sinonimo di corruzione.

Il suo ragionamento ha teso a evidenziare le grandi disuguaglianze del Paese, cercando di tranquillizzare i peruviani sulle sue intenzioni in campo economico, sancendo il diritto universale alla salute, a internet gratuito nelle scuole, dicendosi favorevole ad un ampliamento del programma di pensioni per gli ultrasessantenni, e smentendo le accuse mossegli di voler confiscare i risparmi bancari e quelle di essere tenero con il terrorismo che di recente ha lasciato una scia di sangue in un Perù non dimentico della vicenda di Sendero Luminoso.

Accusato di essere machista da parte di Keiko per le sue posizioni ultraconservatrici in tema di aborto, diritti delle donne e degli omosessuali – non a caso il Premio Nobel della letteratura Mario Vargas Llosa, che sostiene Fujimori, lo ha accusato di essere di estrema destra – Castillo ha dichiarato di rinunciare allo stipendio di presidente, se eletto, accontentandosi di quello di maestro.

A fronte dell'epidemia che ha causato più di 69mila morti, l'obiettivo dichiarato da entrambi i candidati è quello di vaccinare entro l'anno tutta la popolazione, "in ogni farmacia, nelle chiese e nelle scuole" (Fujimori), o organizzando cinquemila brigate della salute per sostenere la vaccinazione e l'assistenza medica (Castillo). Ma senza precisare come intendono concretizzare le loro proposte, in un Paese che scarseggia di operatori sanitari che possono dedicarsi alla vaccinazione.

Appoggiata dalla stampa di Lima, Keiko può contare sulla simpatia dell'establishment e di coloro che vengono descritti come esponenti del keikismo intellettuale. Primo fra tutti Mario Vargas Llosa, nemico dichiarato del padre al tempo in cui egli era a capo del Perù. Scegliendola da subito come il male minore, ha messo in guardia gli elettori dal pericolo che Castillo trasformi il Paese in un nuovo Venezuela o in Cuba. Nel qual caso, ha osservato, "non si può escludere un golpe militare", spingendosi a chiedere il voto per lei dalle colonne dello spagnolo El Pais. 

Dal canto suo Pedro ha incassato l'appoggio degli ex presidenti Evo Morales e José Mujica. E ha, a ogni buon conto, negato ogni vicinanza al venezuelano Maduro.

Comunque vada domenica, il vincitore dovrà governare un Paese spaccato a metà, in una profonda crisi politica che lo scorso anno ha provocato la successione di ben tre presidenti. Per non parlare dei cinque che li hanno preceduti, messi sotto accusa o condannati.