C’è un video che ha colonizzato la rete, ormai da giorni. Si vede l’interno di un aereo, la ripresa è agitata, fatta da dietro un sedile. Una donna scarmigliata, vestita da spiaggia, con la mascherina sul collo, si rivolge alla passeggera che le aveva chiesto di indossarla.

Prima la insulta pesantemente. Poi le sputa. Poi comincia a dare in escandescenza, le urla “lesbica di me..”, poi insulta la vicina di posto per i capelli con le mèches, e glieli tira con violenza, facendola urlare di dolore. Poi grida contro chi dice che deve calmarsi, poi offende lo steward arrivato di gran corsa, poi comincia gridare parolacce all’aereo intero, dà della p… alla donna a cui ha tirato i capelli.

E intanto minaccia, dice che ha un fratello giudice. Quando viene invitata a spostarsi, si divincola, scalcia, urla, insulta il personale di bordo, tira calci a chi è seduto lungo il corridoio. L’aereo è il volo RyanAir da Ibiza a Bergamo del 26 maggio. La passeggera è stata denunciata all’arrivo. Ma più della megera e della scenata, mi colpisce il successo del video. Credo che sia questo successo, il vero tema.

Cosa racconta, in realtà? Diventa virale una scena di violenza verbale, condita con omofobia e gesti di offesa fisica. Una scena in cui la violenza sul momento non viene fermata, non trova ostacoli. Lo strabordare di una emozione fortemente aggressiva senza controllo. Io credo che questo video sia diventato, suo malgrado, un potente esperimento sociale. Potrebbe essere un test di laboratorio per uno studio di sociologia. Un test destinato tuttavia a restare incompleto. Il panel di scienziati che osserva le reazioni di chi l’ha cercato, diffuso, ripostato, non c’è.

Noi vediamo solo il risultato finale: la marea delle visualizzazioni. Lo strepitoso successo di un video che mostra un atto di rabbia assoluta. Perché questo video feroce e insieme quotidiano (l’aereo, la vacanza, i passeggeri normalissimi) ha conquistato la rete? Perché i clic si sono inseguiti, si sono moltiplicati, perché una marea crescente di persone è andata a vederselo e poi l’ha rivisto, e rivisto, e ancora rivisto? Io credo che questo video assuma, come un termometro, la “temperatura” della rabbia diffusa come una alga tossica sotto il livello di superficie del ritorno alla normalità. Non riguarda solo una persona di certo alterata, magari psicotica, magari sotto l’effetto di sostanze. Non riguarda solo il suo carattere, o le sue frustrazioni. Riguarda il non detto che dorme (e sobbolle) nell’anima di tanti.

Può darsi che la maggioranza degli spettatori abbia cercato questo video per prenderne le distanze. Ma esiste una seconda possibilità. E va detta, io credo, anche se è sgradevole. E se invece l’avesse fatto per sfogare, in maniera socialmente accettabile, la propria personale esperienza di rabbia come stato mentale indotto dalla pandemia? E se questo video fosse una sirena di allarme? Se ci mettesse sotto gli occhi la stagione della rabbia che ci aspetta?

ANTONELLA BORALEVI