Gli animali hanno rapporti con l’uomo fin dalle origini e nel corso della storia, oltre ad essere allevati per scopi diversi e fondamentali, sono stati sacralizzati e utilizzati in rituali religiosi anche con fini terapeutici.

L’attuale pandemia, modificando abitudini e stili di di vita, ha cagionato un forte aumento della richiesta/bisogno di animali domestici e ciò è ovviamente scaturito dal desiderio di accogliere nuovi “familiari” nelle mura domestiche per combattere lo stato d'animo d’isolamento e di solitudine.

In Italia, secondo l’Enpa (Ente nazionale protezione animali), nel corso di un anno e mezzo, il numero di animali da compagnia, è aumentato di circa il 15 per cento. Sicuramente, il contatto diretto con l’animale offre molti stimoli, aiuta a sviluppare il rapporto emozionale: accarezzarlo e accudirlo dona un senso di piacevolezza fisica e mentale, neutralizza o canalizza l’aggressività̀, migliora l’autostima. Inoltre, interagire con un animale insegna ad occuparsi di qualcuno diverso da sé e, di conseguenza, sviluppa valori positivi. A trarre beneficio dalla presenza di queste magnifiche creature sono tanto gli adulti, quanto i bambini e un particolare giovamento lo provano gli anziani, le persone con disabilità o disturbi psichiatrici.

Ormai da anni gli animali domestici sono usati anche per fini curativi. Si è infatti affermata la “Pet therapy”, letteralmente terapia con un animale domestico. Questa pratica medica ebbe origine addirittura nel XVIII secolo poi, nel 1953, il neuropsichiatra infantile Boris Levinson constatò che il prendersi cura di un animale trasmetteva calore affettivo, stimolava la creatività, riduceva l’ansia, lo stress, il disagio psichico. Egli studiò, fra l’altro, i benefici effetti che ha la presenza di un cane su un bambino autistico. Tale esperienza segnò l’avvio di approfondite ricerche e nel 1961 Levinson pubblicò il celebre famoso libro “The dog as co-therapist”, dove s’illustrava la “Pet Therapy”, una terapia aggiuntiva atta a coadiuvare l’approccio positivo di altre terapie in essere; in Italia la Pet therapy approdò alla fine degli anni Ottante, grazie a conferenze e convegni in merito. “Le Linee guida nazionali” sulla Pet therapy raccomandano di coinvolgere negli interventi animali domestici da compagnia quali cani, gatti, conigli, cavalli. Ogni animale deve essere certificato, oltre ad avere i requisiti sanitari, comportamentali e le attitudini necessarie valutate da un veterinario esperto della materia. Requisito imprescindibile è la relazione tra il pet e il soggetto che lo ha addestrato, presente durante le sedute terapiche, a tutela e monitoraggio della buona riuscita del trattamento.

Gli interventi assistiti con gli animali sono diffusi in tutta Italia, con una maggiore prevalenza nel Centro-Nord. Realtà che operano da tempo sono a Milano all’Ospedale Niguarda, al Meyer di Firenze e, sempre in Toscana, vi sono anche diverse associazioni riconosciute che lavorano da anni in quest’ambito. “Le Linee guida nazionali” sottolineano l’importanza di un gruppo multidisciplinare: educatore professionale, psicologi, medici veterinari. Fondamentale è che in ogni seduta ci siano almeno due operatori, in modo da garantire una osservazione costante. Per quanto riguarda l’accesso alla professione di operatore di Pet therapy, non essendoci in Italia un regolamento, chiunque può decidere di offrirsi con il suo pet, previa valutazione del caso da parte degli esperti. Per la formazione, ci sono anche Master di primo e secondo livello su attività e terapia assistita con gli animali in Università come Pisa, Genova, Torino o Milano che offrono un titolo professionale riconosciuto. A livello normativo, nel 2002, venne pubblicata la Carta dei valori e dei principi sulla “Pet relationship” (relazioni con l’animale domestico). In seguito, con il decreto del 18 giugno 2009, il ministero del Lavoro, delle Politiche sociali e il ministero della Salute istituirono i “Nuovi centri di referenza nazionali nel settore veterinario”. Infine, nel 22 luglio del 2016, il ministero della Salute ha predisposto il Piano nazionale integrato 2015- 2018. In conclusione, dal rapporto dell’essere umano con la natura e altre forme di vita, non può che scaturire un mondo migliore, meno arido e desertificato.

PIERPAOLA MELEDANDRI