di Angela Mauro

L'anno scorso, quando il trumpiano Mike Pompeo inveiva contro la Cina addebitando a Pechino tutte le responsabilità per la diffusione del coronavirus - "incidente di laboratorio", diceva l'allora segretario di Stato - Bruxelles reagì con sommo imbarazzo. La pandemia era appena iniziata e aveva colto di sorpresa una Unione Europea impegnata nella fase finale dei negoziati per l'accordo sugli investimenti con Pechino, voluto fortemente da Angela Merkel, ma non solo, e firmato agli sgoccioli del 2020, qualche settimana prima dell'insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. Oggi invece l'Ue sostiene gli Usa nella richiesta di un'ulteriore inchiesta dell'Organizzazione mondiale della Sanità sulle origini del covid a Wuhan. Non è roba da poco. È la nuova 'arma nucleare' per conquistare l'indipendenza del mondo occidentale, Usa in testa, dalla politica del debito cinese.

Il cambio di rotta è nell'aria da tempo, da quando, qualche mese fa, la Commissione Europea ha deciso di 'congelare' di fatto l'accordo sugli investimenti firmato a dicembre. Ma sarà il vertice Ue-Usa del 15 giugno, preceduto dal summit dei G7 in Cornovaglia da venerdì a domenica prossimi, a suggellarlo. La bozza di conclusioni del vertice Ue-Usa, il primo per Biden che in primavera ha già partecipato ad un Consiglio Europeo in collegamento da Washington, mette nero su bianco il nuovo impegno dei 27 Stati europei. "Chiediamo progressi su una fase due di uno studio dell'Oms sulle origini del Covid-19" che sia "libera da interferenze", recita il testo.

Va detto che l'anno scorso le accuse di Pompeo erano troppo dirette e roboanti per poter essere prese in considerazione da qualunque diplomazia internazionale. Ma non sono i metodi più 'delicati' dell'amministrazione Biden ad aver convinto gli europei, tanto più che l'obiettivo è lo stesso di Trump: fare chiarezza sulle origini del covid e sulle responsabilità delle autorità cinesi. L'irritazione di Pechino è palpabile. Il punto è il cambio di rotta geopolitico, che va oltre la pandemia.

Ue e Usa puntano a "consultazioni e collaborazione stretta" nel quadro dei rispettivi approcci, "che includono elementi di cooperazione, concorrenza e rivalità sistemica", recita la bozza della dichiarazione del vertice Ue-Usa sui rapporti con Pechino. Bruxelles e Washington "continueranno ad affrontare le preoccupazioni comuni comprese le violazioni dei diritti umani in Tibet e nello Xinjiang; l'erosione di autonomia e processi democratici a Hong Kong; la coercizione economica; le campagne di disinformazione; e le questioni di sicurezza regionale". Il testo cita anche la necessità di "stabilità" a Taiwan.

Insomma, via dalla 'via della seta', ritorno all'asse transatlantico che Trump aveva trascurato e che l'Ue a guida tedesca si era dunque sentita libera di non coltivare, volgendosi a est, Pechino e Mosca. La nuova direzione si è palesata subito con l'insediamento di Biden alla Casa Bianca e anche prima, quando a dicembre arrivò il 'caldo' invito all'Ue a soprassedere sulla firma degli accordi con i cinesi. In quell'occasione, Merkel è andata avanti per la sua strada, intesa firmata. Ma ora la cancelliera è in uscita (elezioni a settembre in Germania). Visto da Washington, questo è il momento propizio per accelerare la ritirata europea dall'oriente.

E poi ora in Italia il premier è Mario Draghi, avamposto delle spinte della nuova amministrazione americana. A marzo il nuovo governo ha bloccato l'acquisizione del 70 per cento di Lpe, società privata con sede a Milano che produce apparecchiature per semiconduttori, da parte della Shenzhen Investment Holdings, una società statale parzialmente cinese. Il ministro dello sviluppo economico italiano, Giancarlo Giorgetti, prevede altri provvedimenti per esercitare la 'Golden power' contro le acquisizioni straniere.

Solo due anni fa, l'Italia del governo Conte I fu il primo paese del G7 a firmare il memorandum di intesa con la Cina. È evidente che la manovra europea di allentamento da Pechino ha un cuore pulsante a Roma. Mentre a Berlino trova chi fa fatica a digerire il nuovo corso: Merkel, che l'anno scorso guidò la presidenza di turno dell'Unione Europea sotto lo slogan 'Make Europe strong again', sfacciata risposta al 'Make America great again' di Trump. Qualsiasi edizione dell'asse transatlantico è più forte della cancelliera, soprattutto di una cancelliera alla fine del suo ciclo politico di 16 anni.

Prima del vertice Ue-Usa, la questione cinese finirà sul tavolo dei G7 in Cornovaglia. Venerdì pomeriggio, i componenti europei del club - Draghi, Merkel, Macron - terranno un summit a parte per fissare la posizione di Bruxelles sui vari dossier in discussione. Partecipano anche la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel. Sarà l'ultimo G7 di Merkel, il primo di Draghi e di Biden. Il futuro geopolitico è già scritto, almeno nelle intenzioni. L'idea è di rafforzare il club delle democrazie nel mondo, di fatto tutti i paesi del G7, rafforzare dunque l'occidente contro le 'minacce' autocratiche d'oriente. La realtà è più complicata e la domanda resta sospesa: come guadagnare indipendenza dalla Cina, che nel frattempo si è infilata nelle economie di tutto il globo?

La politica cinese del debito ha portato sulla via del non ritorno molti creditori, Stati come il piccolo Montenegro che sta implorando l'Ue di aiutarlo nei confronti di Pechino per non 'consegnarsi' territorialmente ai cinesi. Il 15 per cento dei 7 trilioni di dollari di debito Usa detenuti da Stati esteri è in mani cinesi. Riuscire a dimostrare le responsabilità di Pechino nella diffusione della pandemia potrebbe essere la nuova arma nucleare di questa guerra fredda del ventunesimo secolo.