Una lunga serie di promesse – dal “porre fine alla pandemia entro il 2022” al “proteggere il pianeta sostenendo una rivoluzione verde” - compone la dichiarazione finale del G7 in Cornovaglia, 25 pagine il cui i leader mettono nero su bianco la loro “agenda condivisa per un’azione globale”. Il bilancio del summit – malgrado gli attriti relativi alla Brexit e la discussione su quanto duri essere con la Cina – è in linea con le attese della vigilia: il documento finale esorta Pechino a “rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali, specialmente in relazione allo Xinjiang”, e garantendo “un alto livello di autonomia per Hong Kong”, ma allo stesso tempo apre alla “collaborazione in aree di reciproco interesse per le sfide globali condivise, in particolare il cambiamento climatico e la biodiversità perduta”. Quanto alla Russia, si ribadisce “l’appello a fermare il suo comportamento destabilizzante e le sue attività maligne, compresa l’interferenza nei sistemi democratici di altri Paesi, e ad adempiere ai suoi obblighi e impegni internazionali in materia di diritti umani. Detto ciò, è interesse del G7 avere “relazioni stabili e prevedibili con Mosca, con cui continueremo a impegnarci nelle aree di comune interesse”.

I tre giorni di Carbis Bay mettono insieme tutte le promesse della democrazia euroatlantica, con il Giappone come alleato principale in quell’Indo-Pacifico che è priorità del G7 mantenere “libero, aperto e inclusivo, basato sullo stato di diritto”. Il presidente Usa Joe Biden, alla sua prima missione internazionale, centra l’obiettivo che si era dato sin dalla campagna elettorale: rilanciare il multilateralismo e l’asse delle democrazie per contrastare l’assertività cinese, presentandosi come motore di una ricostruzione post-pandemia che metta al centro i “valori democratici” e la tutela dell’ambiente.

I leader europei non escono completamente assoggettati alla linea americana, perché la Casa Bianca avrebbe voluto una posizione più dura nei confronti del regime cinese. Sul piano commerciale ed economico si parla di “concorrenza”, e sia Angela Merkel che Mario Draghi, nelle rispettive dichiarazioni alla stampa, aprono alla possibilità di una “collaborazione con Pechino”. “Con la Cina bisogna cooperare, ma in modo franco”, ha detto Draghi. “Dovremo lavorare con la Cina in vista del G20, degli impegni climatici, della ricostruzione del mondo dopo la pandemia, ma lo faremo in modo franco, dicendo le cose che secondo noi non vanno bene perché non si conciliano con nostra visione del mondo”. E Angela Merkel: la ratifica dell’accordo sugli investimenti Ue-Cina è ancora possibile, “a patto di vedere progressi significativi” sui diritti dei lavoratori cinesi.

Sulla corsa contro il tempo per “vaccinare il mondo” e “fermare il riscaldamento globale”, l’impegno dei leader resta poco ambizioso e troppo sfumato. Riguardo ai vaccini anti-Covid, il Gruppo dei Sette promette di fornire oltre un miliardo di dosi ai Paesi poveri e in via di sviluppo. Si tratta della quantità più alta mai promessa finora, ma ampiamente insufficiente per risolvere il dramma: occorrono altri 10 miliardi di vaccini per immunizzare il 70% degli abitanti della Terra e raggiungere l’immunità di gregge a livello globale. Ciononostante, i leader indicano come obiettivo la “fine della pandemia entro il 2022”. La strada prescelta – anziché la sospensione temporanea dei brevetti – è quella di facilitare l’accesso ai vaccini localizzando la produzione anche nei Paesi in via di Sviluppo, una via che la Germania sta già percorrendo con l’espansione delle attività di BioNTech in Africa.

Quanto al clima, il G7 si impegna ad “accelerare gli sforzi per ridurre le emissioni di gas serra” e a dimezzarle entro il 2030. “A questo fine – affermano i leader - ci siamo impegnati ad aumentare i target al 2030″ con un taglio collettivo delle emissioni della metà rispetto al 2010 e di oltre la metà rispetto al 2005. Il Gruppo, però, non ha raggiunto un accordo su una tempistica per eliminare l’uso del carbone come fonte di energia elettrica, un fallimento che gli attivisti del clima considerano una profonda delusione in vista della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici prevista per novembre a Glasgow.

Gli ambientalisti hanno espresso preoccupazioni anche per l’assenza di dettaglisu come il Build Back Better World – il “piano per ricostruire meglio il mondo” - verrà finanziato e tradotto in opere concrete. Del piano, effettivamente, si sa molto poco, mentre chiarissimo è il suo obiettivo: sottrarre a Pechino le praterie rappresentate dal bisogno di infrastrutture dei Paesi poveri, con il duplice vantaggio di limitare l’influenza cinese su ampie aree del globo ricavando dei vantaggi economici diretti. Ma se questa visione è realistica per gli Stati Uniti – da tempo focalizzati sul decoupling, ovvero il disaccoppiamento tra le due maggiori economie del mondo – la questione si fa assai più complicata quando si parla di Europa, sia per motivi strutturali – per pensare di poter competere, servirebbe davvero un’Europa federale -, sia per motivi di storia recente - la Cina è stata particolarmente abile a estendere la sua presenza sul suolo europeo durante i quattro anni di isolazionismo alla Trump.

Ora, però, “l’America è tornata al tavolo”, come ha ribadito per l’ennesima volta Biden al termine del G7. “Insieme, rappresentiamo i valori delle democrazie e non dei regimi autocratici”. Un refrain che sentiremo più volte nei prossimi giorni, con il summit dei Paesi Nato e poi il vertice Usa-Ue, prima del faccia a faccia di martedì con il presidente russo Vladimir Putin. La teoria è tutta sul tavolo. Bisognerà vedere come, passo dopo passo, si realizzeranno le tante promesse della democrazia euroatlantica.