L’America è tornata. Senza insulti, strane strette di mano fatte per dimostrare chi è il più forte, sorrisi finti e pacche sulle spalle dei leader dei paesi più potenti del mondo, è andato in scena il primo G7 in persona dopo il picco dell’emergenza Covid e la sconfitta alle urne di Donald Trump. Da americano che da anni ormai si sveglia ogni mattina in un Paese straniero, sono più tranquillo quando penso che come presidente ho un uomo che si comporta normalmente e che l’incontro fra i leader dei Paesi più industrializzati sarà la solita noiosa riunione e non un incontro di wrestling fra presidenti e primi ministri. Finora Joe Biden è stato in grado di smussare molti degli angoli creati da Trump con gli alleati: con un tocco di penna ha cancellato alcune delle decisioni più controverse del suo predecessore, rientrando nell’Accordo di Parigi sul clima, restituendo i fondi all’Organizzazione mondiale della Sanità, riannodando i fili del dialogo con i palestinesi e gli iraniani.

Il risultato è che è ben considerato all’estero. In un sondaggio del Pew Research Centre realizzato in dodici Paesi, il 75% degli intervistati ha espresso fiducia in lui: con Trump nel 2020 il dato era del 17%. L’opinione generale degli Stati Uniti è favorevole nel 62% dei casi, contro il 34 di un anno fa. Risultati niente male per un leader che è al potere solo da cinque mesi. Ma non sono tutte rose: il 32% del campione considera gli Stati Uniti un partner “non troppo” o “non del tutto” affidabile, l’11% sostiene il contrario: la maggioranza – 56% - parla di un partner soltanto “in qualche maniera” affidabile. Un dato che non è per niente rassicurante. Così come non lo è quello sulla fiducia nel sistema democratico americano: solo il 6% del campione lo considera del tutto affidabile, con ampie percentuali che vanno dal “per niente” (45%) al “in qualche maniera” (6%). Non proprio una grande cosa.

Questo per dire che le divisioni degli ultimi anni hanno fatto danni all’immagine dell’America che potrebbero non scomparire presto. Il timore è che Trump, o chi la pensa come lui, possa tornare al potere prima o poi, e che presto il pendolo torni a oscillare dalla parte opposta a quella che ha segnato nelle elezioni di novembre. Cosa accadrà allora al posto dell’America nel mondo? Si trasformerà di nuovo in un partner inaffidabile? In patria Biden sta portando avanti un’agenda ambiziosa, che gli ha fatto conquistare la fiducia della parte della popolazione che è stanca di divisioni e tensioni: piani per la sanità, le infrastrutture e lo sviluppo di un’economia verde che se fossero attuati aiuterebbero gli Stati Uniti ad essere effettivamente più uniti e meno divisi. Ma perché tutto questo si realizzi serve tempo, mentre le elezioni di midterm del 2022 che decideranno i nuovi equilibri del Congresso si avvicinano: se Biden perdesse il controllo anche solo di una delle due Camere il suo percorso diventerebbe molto più difficile.

Trump e i suoi puntano proprio a questo e da mesi costruiscono un’immagine alternativa della realtà, raccontando di frodi elettorali alle presidenziali dello scorso anno e istigando negli elettori paura in vista dei voti del 2022 e del 2024. Ogni mossa di Biden in questo senso viene rovesciata: per l’America, secondo loro, si prospetta un futuro dove i cittadini non potranno più difendersi se verranno imposti limiti al porto d’armi. La polizia non sarà in grado di garantire sicurezza se ci sarà più controllo sulle azioni degli agenti. E quello che aumenterà le tasse ai ricchi sarà un regime socialista. E così via, passando per i vaccini anti-Covid e la battaglia per tenere vivo il diritto all’aborto per le donne. È una narrativa pesantissima quella che Biden e i democratici devono fronteggiare giorno dopo giorno e che rischia di minare alle basi l’agenda del presidente. E la fiducia appena ritrovata degli alleati stranieri.

JOHN FIEGENER