Mario Draghi raccoglie apprezzamenti unanimi all’estero. Non possiamo che compiacerci del fatto che un italiano faccia sentire la sua voce nel consesso dei leader dei Paesi occidentali… e oltre. Il rispetto che uno statista ottiene dai suoi pari è un eccellente carburante per l’autostima, sua e dell’intera Nazione. Tuttavia, affinché la considerazione rivolta alla persona si trasformi in riconoscimento del ruolo di un Paese (l’Italia) nel più ampio scenario geopolitico alle belle parole che il premier pronuncia devono seguire i fatti. Ma il tavolino del Governo è traballante a causa di qualche gamba sbilenca che ne pregiudica la stabilità. Così non va. Non parliamo di schermaglie partitiche vissute come psicodrammi dal mondo virtuale dei media. Ciò che interessa è l’azione politica. Se il presidente Draghi è un fuoriclasse, come molti in Italia ritengono (noi compresi), allora che si dia una mossa nel sistemare ciò che non funziona. L’altro giorno, al termine del vertice Nato tenutosi a Bruxelles, il premier ha ribadito l’importanza cruciale che l’Italia dedica al rafforzamento della cooperazione tra la Nato e la Unione europea confermando l’impegno del Governo sulle operazioni e sulle missioni Nato e sulle spese per la Difesa. “La sicurezza è un presupposto necessario per preservare e rafforzare le nostre democrazie e i nostri sistemi economici e sociali” ha precisato Draghi. Parole che chiunque sottoscriverebbe. Eppure, quando si tratta di passare ai fatti le cose si complicano col bel risultato che, come Paese, finiamo puntualmente per farci del male da soli. Signor presidente, ci faccia un favore: i suoi autorevoli proponimenti li ripeta con un tono di voce di un’ottava più alto al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, visto che lui la storia di confermare l’impegno del Governo sulle spese della Difesa non l’ha capita granché. Lei, signor presidente, promette maggiore impegno, che significa maggiori risorse umane e finanziarie da destinare all’apparato di Difesa del Paese. Poi, però, scopriamo che l’Italia sta compromettendo prestigio e alleanze nell’area strategica del Medio Oriente perché si è consegnata al pacifismo autolesionista dei ragazzi dell’oratorio Cinque Stelle. Lo scorso 8 giugno ci siamo beccati uno sganassone in pieno volto dai governanti degli Emirati Arabi Uniti i quali hanno negato l’autorizzazione al sorvolo del loro spazio aereo al Boeing B-767Adella nostra Aeronautica che trasportava militari e giornalisti diretti a Herat in Afghanistan. Di un’umiliazione così bruciante non si aveva memoria. Perché gli emiratini ce l’hanno con noi? Cosa gli abbiamo fatto di tanto grave da giustificare una reazione del genere? Posto che nessuno al mondo sia così folle da svegliarsi una mattina e decidere di provocare senza motivo un altro Paese con cui ha intrattenuto rapporti eccellenti fino al giorno prima, la verità è che ad Abu Dhabi hanno tutte le ragioni per avercela con Roma. Da noi c’è gente al Governo la quale, col pretesto di ripulirsi la coscienza con le stucchevoli menate sulla pace nel mondo, ha compiuto un’autentica nefandezza contro il piccolo Stato del Sud-Est della Penisola araba stracciando i contratti in essere attinenti a forniture militari di bombe realizzate da Rwm-Italia e di pezzi di ricambio per gli aerei MB-339A della pattuglia acrobatica emiratina. La ragione? La partecipazione degli Emirati Arabi Uniti alla guerra in Yemen. Ma come si fa a essere tanto ipocriti e inaffidabili? Visto che la responsabilità di annullare le forniture è stata della Farnesina sarebbe bene che il “banchiere” Draghi spiegasse al giovanotto che occupa la poltrona degli Esteri come funziona la regola aurea per assicurare la pacifica convivenza in qualsiasi contesto umano: pacta sunt servanda. Tradotto: i patti si rispettano. Paradossalmente, dobbiamo riconoscere che è andata anche bene con un solo sganassone rimediato. I governanti degli Emirati avrebbero potuto farci più male decidendo unilateralmente di recedere dall’accordo del 2002 che ci consente l’utilizzo dello scalo di al-Minhad da Base aerea logistica avanzata (Flab-Forward Logistic Air Base) della nostra Aeronautica per le missioni in Iraq e in Afghanistan (speriamo siano infondate le voci che danno per imminente l’ordine da Abu Dhabi di smobilitazione della base di al-Minhad). Capito che roba? Mettersi a giocare a fare i pacifisti con i nostri ragazzi ancora impegnati nei teatri di guerra mediorientali e asiatici e che devono poter rientrare in Patria in totale sicurezza. Un agire da irresponsabili che una nazione globalmente esposta come l’Italia non può permettersi. Già, perché l’incoscienza non fa male solo all’immagine del Paese e alla sicurezza nazionale: danneggia soprattutto gli interessi economici. Il comparto dell’industria della Difesa rischia di andare a rotoli a furia di disdette a titolo sanzionatorio di forniture militari per infliggere improbabili lezioni morali ai partner terzi negli armamenti. Cominciano a essere troppe le improvvise tensioni nelle relazioni bilaterali. A questo punto è lecito domandarsi se l’auto-sabotaggio sia frutto di stupidità o celi un perverso disegno politico. Mettere fuori mercato il Made in Italy nella produzione di armamenti a chi giova? Non si dica alla pace nel mondo perché è un’idiozia che non si può sentire. Allora a chi? Agli amici cinesi di Beppe Grillo e soci? A qualche nostalgico della liaison con gli ayatollah iraniani? Facciamo un favore alla Turchia neo-ottomana di Recep Tayyip Erdogan, nostra diretta concorrente nella leadership geopolitica tra le potenze regionali del Mediterraneo allargato? O lo facciamo per il piacere masochistico di farci fregare dai nostri rivali commerciali francesi, britannici, olandesi e tedeschi? Il premier Draghi metta un freno al tafazzismo imperante all’interno del suo Governo. Il giovane Luigi Di Maio aveva dato segnali di maturazione dal punto di vista della responsabilità politica. Invece, i comportamenti concreti sfociati nella mancata difesa dell’interesse nazionale vanno in opposta direzione. Che il ragazzo non si sia realmente affrancato dall’infantilismo pernicioso del grillismo? É come se Di Maio fosse rimasto in mezzo al guado in un processo di transizione identitaria. Abbiamo sempre pensato che quello del giovanotto di Pomigliano d’Arco fosse un caso paradigmatico di disforia di genere ideologico: sentirsi un animo democristiano prigioniero in un corpo da grillino. Una tortura per la coscienza. E per la psiche. Sgradevole invece sarebbe scoprire che Di Maio abbia fregato tutti manifestandosi democristiano nella gestione personalistica del potere salvo a rimanere convintamente grillino nella pretesa d’imporre ai connazionali le follie di un’utopia malata di pacifismo terzomondista. Comunque, per il nostro apparato produttivo di settore non tutto è perduto. La notizia confortante, inspiegabilmente taciuta dalla politica, viene da Fincantieri che ha appena chiuso un contratto con il Governo indonesiano per la fornitura di 6 nuove fregate Fremm (Fregate europee multi-missione) a cui si aggiungono due fregate classe Maestrale ristrutturate. Si tratta di una commessa da oltre 4 miliardi di euro. Un ottimo affare, che segna un forte posizionamento di mercato nell’area dell’Indo-Pacifico, concluso dall’Amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono. Un successo industriale che consente alla cantieristica navale italiana di assumere la leadership globale nel settore delle navi di superficie e che porterà a un incremento dell’occupazione nel settore grazie al coinvolgimento di un forte indotto. Dalle parti della Farnesina e delle Commissioni esteri di Camera e Senato che pensano di fare al riguardo? Mettere sotto accusa il Governo di Giacarta perché succhia troppo olio dai palmeti di casa onde giustificare l’annullamento anche di questa fornitura? Se il piano grillino prevede la distruzione sistematica dell’export italiano d’eccellenza lo dicano apertamente, tanto non c’è grosso problema per la crisi economico-occupazionale che una politica anti-nazionale produrrà: i disoccupati, figli della morale disfattista dei Cinque Stelle, li mandiamo a mangiare, pranzo e cena, con le loro famiglie a casa di Luigi Di Maio, di Roberto Fico e di tutta l’allegra combriccola grillina, oggi contiana. Seppure non risolvessimo il problema della pace nel mondo, di certo avremmo posto rimedio a quello della fame in Italia. A questo punto occorre parlarsi chiaro. Se ci chiedessimo: chi gioca contro gli interessi italiani? Dovremmo mettere in prima fila una parte ben identificata della politica italiana. L’opinione pubblica lo sa? Se non è consapevole che s’informi prima di mettere piede la prossima volta in una cabina elettorale.

CRISTOFARO SOLA