Più di 700.000 bambine, bambini e adolescenti Rohingya in tutta l'Asia subiscono gravi discriminazioni e violazioni dei diritti fondamentali, afferma Save the Children – l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro.

Secondo il nuovo rapporto “No safe haven - Nessun rifugio sicuro”, pubblicato in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, in Myanmar, Bangladesh, Malesia, Thailandia e Indonesia i bambini Rohingya non hanno accesso a istruzione di qualità e a protezione legale, rimanendo così esposti ad abusi, lavoro minorile, matrimoni precoci, tratta e detenzione.

Su un totale di almeno 700.000 bambini Rohingya in Asia, la maggior parte di loro vive fuori dal Myanmar, il loro paese d'origine. Gran parte è in Bangladesh, dove circa mezzo milione di bambini vive nei campi profughi, ma molti Rohingya si sono rifugiati anche in altri paesi vicini. La Malesia ospita più di 100.000 rifugiati Rohingya, circa un quarto dei quali si stima siano bambini. Tra i cinque paesi ospitanti, chi ne ospita meno sono Thailandia (3.000-15.000) e Indonesia (diverse centinaia), senza stime esatte sul numero di minori. Circa 234.000 bambini Rohingya sono nello Stato di Rakhine in Myanmar, di cui circa 69.000 confinati in squallidi campi e tutti sono soggetti a severe restrizioni di spostamento.

“Con tutte le atrocità che hanno dovuto affrontare, i bambini Rohingya sono tra i più perseguitati al mondo, dimenticati sia dai loro paesi d’origine sia da quelli in cui sono fuggiti. In Myanmar, in cui ingiustamente è stata negata loro la cittadinanza, subiscono discriminazioni ed emarginazioni. I loro diritti fondamentali sono violati: la possibilità di andare a scuola, di sentirsi al sicuro nelle proprie case e di vivere liberi da discriminazioni e pregiudizi” ha dichiarato Hassan Noor, Direttore Regionale di Save the Children in Asia.

“Le cause alla base di questa crisi nascono in Myanmar, dove devono finire la segregazione e le violenze che durano da decenni. Ma i governi di quest’area hanno la responsabilità e il potere di garantire i diritti, la sicurezza, la dignità e l'umanità dei Rohingya che vivono all'interno dei loro confini e di assicurare la sopravvivenza e la prosperità della loro comunità. Si deve immediatamente garantire sicurezza, rispetto e protezione dei Rohingya, concedendo loro la cittadinanza in Myanmar ma anche garantendo che i loro diritti di rifugiati siano rispettati in altri paesi, tra cui il diritto all'istruzione per i bambini. Senza tutto questo, un’intera generazione di minori Rohingya non potrà avere una vita migliore e contribuire allo sviluppo dei paesi in cui vivono” ha continuano Hassan Noor.

Il Myanmar non riconosce i Rohingya come cittadini, complicando il processo di richiesta di asilo all'estero e, secondo Save the Children, i minori sono ancora più esposti a varie forme di abuso in tutti e quattro i paesi tra cui:

• Apolidia e mancanza di status giuridico: il Myanmar nega la cittadinanza alla popolazione Rohingya, mentre nessuno degli altri quattro paesi concede la cittadinanza ai rifugiati minori Rohingya nati sulle loro coste, né sono ufficialmente riconosciuti come rifugiati. Ciò li espone a repressioni, deportazioni e arresti arbitrari, e molti di loro non riescono ad accedere all’assistenza sanitaria e ad altri servizi di base.

• Difficoltà di accesso all'istruzione, sia a causa di norme esplicitamente discriminatorie che li escludono dalla scuola, sia perché non vengono applicate politiche che dovrebbero consentire loro di frequentare la scuola. In Thailandia, ad esempio, tutti i minori hanno diritto all'istruzione di base indipendentemente dal loro status legale ma non sempre viene rispettato e i bambini Rohingya continuano a rimanere fuori dal sistema scolastico.

• Matrimoni e gravidanze precoci: le pressioni finanziarie e le usanze legate all'istruzione femminile fanno sì che le adolescenti Rohingya abbiano ancora meno possibilità di andare a scuola e più probabilità di matrimoni precoci.

• Arresti e confinamento in centri di detenzione per migranti e campi profughi.

• Atteggiamenti e discriminazioni contro i Rohingya, a volte diffusi online e nei media statali che minacciano la sicurezza dei bambini.

La comunità Rohingya in Myanmar ha vissuto decenni di persecuzioni e violenze perpetuate dallo stato e secondo il rapporto di Save the Children, i paesi vicini spesso non sono risultati luoghi sicuri poiché anche lì i rifugiati Rohingya continuano a essere demonizzati, discriminati, trattati come criminali, rinchiusi in centri di detenzione per migranti o lasciati morire su barche bloccate in mare per mesi. Inoltre, in Myanmar la situazione è sempre più instabile dopo il golpe militare del 1° febbraio, a seguito del quale migliaia di persone sono state arrestate e centinaia uccise, rendendo sempre più remota la prospettiva di un ritorno sicuro per le centinaia di migliaia di rifugiati Rohingya che vivono nei campi in Bangladesh.

Le bambine, i bambini e gli adolescenti Rohingya che vivono fuori dal Myanmar hanno detto a Save the Children che hanno paura di uscire poiché potrebbero essere arrestati ed espulsi per immigrazione illegale.

“[In Myanmar] io e la mia famiglia eravamo perseguitati ovunque. Non potevo lavorare ed ero discriminato. Venivamo importunati e quando ero piccolo mia madre e mia sorella sono state picchiate. Siamo Rohingya e per questo siamo discriminati. Se uscivamo la sera la polizia ci picchiava o ci arrestava; a volte portavano i giovani Rohingya alla stazione di polizia e li torturavano. Una volta arrivato qui, è iniziato il lockdown ed è diventato difficile sopravvivere. Pensavo che avrei trovato di un lavoro per aiutare mia madre e le mie sorelle, ma è difficile trovarlo [senza documenti]. Da quando sono arrivato, ho paura di essere arrestato e della polizia. Non posso uscire [con i miei amici] quando mi chiamano per giocare perché non ho i documenti” racconta Abul*, 16 anniche a soli 15 anni ha lasciato la sua famiglia in Myanmar ed è fuggito in Malesia, dove vive da circa 18 mesi.

Hamid*, 15 anniha lasciato il Bangladesh con suo padre a marzo dello scorso anno per andare in Malesia. Sono rimasti in mare per sette mesi prima che la barca attraccasse a Aceh, in Indonesia. Poco prima di sbarcare, il padre di Hamid è morto lasciandolo senza nessuno che si prendesse cura di lui. Aveva solo 14 anni. Ha affrontato quindi un pericoloso viaggio in barca per raggiungere i suoi parenti in Malesia. “Quando mio padre è morto ho pianto moltissimo e quando sono arrivato in Indonesia ho pianto ogni giorno per tre mesi, mi mancava così tanto. Quando tutte le persone della nostra barca hanno deciso di andare in Malesia sono andato con loro. Una volta arrivati nelle acque malesi sono stato arrestato dalla polizia insieme agli altri Rohingya. Ero preoccupato… Avevo paura di rimanere in prigione per molto tempo ma dopo due settimane la polizia ci ha consegnato all'UNHCR” racconta.

La pandemia di Covid-19 ha peggiorato ancor di più la situazione per i rifugiati Rohingya, poiché i governi aumentano le restrizioni di circolazione e chiudono i confini nazionali rendendo ancora più pericolosi i viaggi dei migranti. In diversi paesi la pandemia è stata un pretesto per le autorità per respingere le barche con a bordo i rifugiati, arrestare e detenere migranti privi di documenti e imporre restrizioni agli aiuti. Inoltre, con la crisi economica e del settore lavorativo, le famiglie hanno avuto gravi difficoltà e i minori Rohingya sono stati più esposti al rischio di sfruttamento, lavoro minorile e tratta.

 

*nomi cambiati per proteggere l’identità