Gente d'Italia

Partito unico del centrodestra: si, no… forse

Di Cristofaro Sola

Silvio Berlusconi “vede” la proposta di Matteo Salvini di federare la Lega con l’area liberale-riformista e rilancia: Partito unico del centrodestra sulla falsariga del Partito Repubblicano statunitense. Dentro anche Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. La giocata, proprio perché viene dal vecchio leone di Arcore, va presa sul serio. Il “Cav”, a dispetto dell’età, ha la vista di un’aquila: guarda lontano. A confinarlo in una logica tatticista della politica gli si farebbe grande torto. Allora domandiamoci il perché di una mossa tale da scompaginare gli equilibri tra le forze dell’odierno centrodestra e da creare fibrillazioni all’interno dei singoli partiti.

Una contromisura per arginare la confluenza che va silentemente materializzandosi a sinistra tra il Partito Democratico, il Movimento Cinque Stelle e Liberi e Uguali? Non ci convince. Troppo debole come giustificazione di un’idea che obiettivamente resta di complessa decodifica. Ciò che avviene nel campo progressista non è riproponibile specularmente sul fronte della destra per la palmare evidenza del differente grado di omogeneità che contraddistingue il blocco socio-culturale di riferimento della sinistra da quello della destra. A sinistra il comune denominatore del progressismo è una sorta di religione monoteista che ha i suoi totem e i suoi tabù. Il fenotipo “progressista”, a qualsiasi latitudine partitica si collochi, è riconoscibile per uniformità dello stigma ideologico nei molti “ismi”. Egli è per l’aperturismo indiscriminato nei confronti dell’umanità; nemico giurato dell’identitarismo; fautore del relativismo culturale e della liquidità valoriale; geneticamente ostico al riconoscimento della peso della Tradizione nella costruzione della civiltà; revisionista al limite dell’abiura riguardo alla storia del proprio mondo; prova profondo disagio nell’evocare il concetto di patria perché in contrasto con l’universalismo proprio dello spirito di affratellamento che unisce i multiculturalisti; pacifista (del tipo rinunciatario) nell’indole, pronto a cedere il passo a chiunque avanzi pretese camuffate da diritti; egualitario, ossessionato dalla sindrome del bisogno di restituzione (a parole, meno nella prassi) ad altri di un benessere che le generazioni precedenti avrebbero carpito indebitamente ai popoli del Terzo mondo mediante la sopraffazione e l’inganno; risolutamente contrario a concedere cittadinanza al sacro nella vita quotidiana; convinto sostenitore della libertà dell’essere umano di rimodellare la propria natura (anche nel genere sessuale) negando gli assoluti assiologici della dimensione spirituale; pronto a mettere la scienza e la tecnologia davanti alla fede; evoluzionista senza incertezze, sostenitore dello sviluppo lineare all’infinito del divenire; materialista storico in permanente conflitto con chi pensi a uno processo ellittico della vicenda umana a “circuito chiuso”, protesa a risalire la corrente del mito fino alle sue origini metafisiche.

Al contrario, il campo della destra annovera una molteplicità di visioni dell’Uomo, del suo scopo sulla Terra, della sua matrice spirituale, della libertà nella costruzione del proprio destino, dell’ordine sociale e della gerarchia delle posizioni individuali nelle interazioni superiori-sottoposti sulla scala sociale. Vi è un pensiero di destra che colloca la categoria concettuale della pace sulla traiettoria escatologica di un’umanità affrancata, alla fine della Storia, dalla pulsione primordiale alla guerra, vero motore della civiltà. Vi è un altro pensiero che limita il perimetro del bisogno ancestrale di lotta all’intrapresa economica, al mercato e alla libera concorrenza nella produzione e nella commercializzazione di beni e servizi. Un altro ancora che punta alla cooperazione e al dialogo tra gli individui e tra gli aggregati umani in luogo della sfida permanente per l’egemonia nei rapporti tra comunità statuali. Vi è, poi, un pensiero che mette innanzi a ogni cosa la sacralità della vita non collocandola nella disponibilità dell’essere umano e un altro che, all’opposto, privilegia la qualità e la dignità dell’esistenza e il diritto del singolo di disporne insindacabilmente. Ve n’è uno che pone Dio all’interno della Storia e un altro che, facendo a meno della presenza di Dio nel quotidiano, al centro pone l’uomo liberato dall’immanenza provvidenziale del divino. E, discendendo per li rami, c’è a destra chi crede nella necessità di affidarsi all’uomo-solo-al-comando nel governo della cosa pubblica e, al contrario, chi pensa che il parlamentarismo sia il luogo naturale di deposito della sovranità. Nel pantheon della destra ci sono John Locke, Friedrich von Hayek, Ludwig von Mises, Benedetto Crocema anche Joseph-Marie de Maistre, Friedrich Nietzsche, Oswald Spengler, Martin Heidegger, Giovanni Gentile, Nicolàs Gòmez Dàvila e Julius Evola, per fare solo i primi nomi che vengono alla mente.

La destra è un fiume alimentato da una miriade di affluenti che in alcune stagioni della Storia convergono su aspetti fondanti del vivere comunitario, ma che restano ontologicamente distinti. Un liberale non è la medesima cosa di un conservatore, come non lo è di un nazionalista, di un reazionario o di un tradizionalista. Nondimeno, la loro diversità può incrociare percorsi di fusione quando è in ballo il prevalente interesse a darsi una weltanschauung condivisa sulla quale orientare il futuro della comunità. Tuttavia, tale processo di riduzione a un minimo comune multiplo non può avvenire in superficie. Perché dia risultato deve svolgersi nelle profondità delle sfere antropologico-culturali che contengono le espressioni connotative del campo esteso della destra.

Ora, il fatto che il leader di Forza Italia abbia in animo di velocizzare l’amalgama lascia perplessi. Non vi è dubbio che la fusione sia obiettivo strategico, ma in quali tempi realizzarla? E, soprattutto, attraverso quali riposizionamenti riunire un popolo che non è una massa indistinta di uguali ma una pluralità di pensieri critici e di vocazioni egemoniche? L’innaturale accelerazione del processo di unificazione potrebbe dare risultati opposti a quelli desiderati: chi non si sentisse pienamente rappresentato dal partito unico finirebbe con lo straniarsi dalla battaglia per il governo della nazione al quale la nuova formazione “omnibus” legittimamente si candiderebbe. È già accaduto con l’esperienza del Popolo delle Libertà (il Pdl). Quali mutate condizioni di contesto inducono a pensare che oggi sarebbe diverso e che una fusione a freddo funzionerebbe?

C’è poi una questione di leadership carismatica. Un grande progetto unificatore poggia su due premesse inderogabili: la condivisione di un progetto di società di ampio respiro e la presenza in campo di una forte personalità in grado di guidarne le fasi di sviluppo. Esiste allo stato una tale personalità nel centrodestra, che non sia il vecchio leone di Arcore? Ciò che è mancata nell’iniziativa berlusconiana è stata la messa in chiaro del percorso politico che dovrebbe portare alla costituzione del partito unico. È un limite dell’uomo Berlusconi quello di offrire soluzioni, talvolta rivoluzionarie, senza renderne noto il processo di elaborazione. C’è poco da fare: in lui prevale l’esprit dell’imprenditore che va dritto al sodo. In politica non basta, certe proposte criptiche possono generare malintesi e diffidenze. Se il vecchio leader vuole che la sua idea sia presa in considerazione dai partner deve cambiare approccio. Deve mettere in luce i passaggi logico-concettuali che lo hanno portato a concludere per la costituzione di un partito unico della destra.

In attesa che l’offerta politico-programmatica sia metabolizzata dagli interlocutori a cui essa è stata destinata si potrebbe mettere mano alla proposta di Matteo Salvini della federazione delle forze liberali e riformiste dell’odierno centrodestra. Sarebbe già un primo passo nella direzione indicata da Berlusconi. D’altro canto, lo dice la parola: federare viene dal latino foedus che significa patto, accordo, alleanza. Quindi, prima il patto costitutivo tra i costruttori, poi l’edificazione della casa comune. Al momento, la prospettiva di un partito unico nel breve termine non riusciamo a vederla. Sarà pure un deficit del nostro orizzonte visivo. Se il vecchio leone ci aiutasse a capire sarebbe preferibile.

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