di Marco Lupis

Transenne e blocchi nel centro di Pechino, in particolare tutto attorno a Piazza Tienanmen. La capitale cinese “chiuderà” per una settimana per consentire “l’allestimento delle attività celebrative” per il centenario della fondazione del Partito comunista cinese (Pcc), secondo quanto annunciato dalle autorità. Fino al primo luglio i visitatori non potranno accedere alla piazza, mentre la tradizionale cerimonia quotidiana dell’alzabandiera riaprirà al pubblico il 3 o 4 luglio. Inaccessibili a tutti anche il mausoleo di Mao Zedong e i due musei, quello della Città Proibita e il Museo Nazionale in Piazza Tienanmen, che resteranno chiusi al pubblico e riapriranno il 2 luglio. Le autorità hanno anche promulgato un avviso sulla sicurezza aerea che prevede il divieto totale di utilizzo dei droni fino al 15 luglio e il lancio di “oggetti volanti” che potrebbero compromettere la sicurezza delle attività “aeree” organizzate durante le celebrazioni, come il rilascio di colombe in volo e di palloncini.

 

L’atmosfera nella capitale cinese – ma si può dire, in tutta la Cina – è quella delle grandi occasioni storiche. La data fatidica è quella del primo luglio quando, cento anni fa, il 1° luglio 1921, si tenne il primo Congresso del Partito Comunista Cinese. L’anniversario ha una valenza particolare, nell’attuale situazione della Cina, specie in ambito internazionale, e travalica ampiamente la pura celebrazione storica per sconfinare nell’ennesimo sforzo per imporre – in patria e all’Estero – una narrazione basata sul racconto di una Cina moderna, potente e assertiva, pronta a gestire il ruolo che - secondo Xi Jinping e i dirigenti del Partito – gli spetta ormai di diritto, quello di leader geopolitico globale e “guida del Mondo”, sulla base della disciplina del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Un metodo di governo e una ideologia, secondo Pechino, è ottima non solo per la Cina, ma anche per tutto il resto del Mondo.

Striscioni rossi e cartelloni celebrativi sono apparsi ovunque in tutto il paese già nelle scorse settimane, con scritte “patriottiche” che esortano tutti i bravi cittadini a celebrare la festa all’insegna della “Unità nel Partito”. Grandi pannelli con un “100” blasonato in rosso e l’emblema della falce e martello sono appesi sopra i negozi al dettaglio e lungo le strade trafficate, mentre altri cartelli ricordano ai cittadini di vivere una vita “civile” e obbedire alle autorità. “Ascolta la festa, apprezza la festa, segui la festa”, dichiara un enorme cartellone stradale a Pechino.

La propaganda di partito fa parte della vita quotidiana in Cina, dove striscioni rossi che danno consigli, incoraggiamenti e messaggi ufficiali sono onnipresenti per le strade tutto l’anno. Ma nelle ultime settimane, con l’avvicinarsi del centenario, lo sforzo e l’invadenza celebrativa si è fatto parossistico. “Costruisci un’immagine civile ovunque, diventiamo tutti cittadini civili”, recita uno striscione, con una silhouette con una grande fotografia dai colori caldi di famiglie felici, contro lo skyline della capitale.

Alcuni cartelloni mostrano un ritratto di Lei Feng, il modello di soldato più famoso della Cina moderna, le cui presunte imprese e il riconoscimento dell’ex leader Mao Zedong hanno trasformato in un eroe popolare nazionale. Le autorità hanno usato spesso la sua leggenda per incoraggiare i cittadini a impegnarsi duramente e i messaggi sotto la sua immagine esortano il pubblico a “imparare lo spirito di Lei Feng”. E nel pieno dell’eccitazione celebrativa, anche Il gigante americano del fast food KFC ha aperto il suo primo ristorante a “tema Lei Feng” nella città natale del soldato modello dell’era Mao, Changsha, capoluogo della provincia di Hunan, dove ogni anno, il 3 marzo, si tiene il “Lei Feng Day”. Le pareti del ristorante sono ricoperte di immagini e citazioni del mitico soldato, icona comunista, morto nel 1962, e il ristorante ospiterà attività regolari per incoraggiare le persone a imparare dalla sua vita e dalle sue eroiche imprese. Il motto? “leccarsi le dita Lei Feng”. Ma nel generale parossismo per le celebrazioni, l’eccitazione è stata un po’ smorzata da una curiosa… “guerra” dei rap. 

Un gruppo di giovani cantanti cinesi si è messo insieme sotto la guida di un popolare produttore discografico, per cantare in coro una specie di inno celebrativo, un po’ nello stile di “We are the world”. Ma invece di suscitare consensi, l’operazione è stata ferocemente criticata, specie sui social cinesi, come Weibo.

Si tratta di un rap di 15 minuti, una canzone cantata da ben 100 artisti, che elogia i successi del paese, come il superamento della carestia, e lo sviluppo. Ma le critiche sono arrivate subito, ferocissime, e tutta l’operazione è stata etichettata come “un modo opportunistico per far soldi velocemente”. La maggior parte degli artisti sono relativamente sconosciuti, ma tra i 100 ci sono anche nomi di alto profilo in Cina, come Jiang Yunsheng, 26 anni, una star del popolare reality show Rap for Youth , e Wang Zixin del gruppo hip-hop CD Rev. Un famoso critico musicale ha bollato i cantanti con la definizione di “100 schiavi”.

Il produttore, Li Haiqin – che ha anche fondato la società di intrattenimento di Shenzhen Hip Hop Fusion, che ha pubblicato la canzone – si è detto “scioccato e deluso” per l’ondata di critiche. “Da quando i rapper che amano il loro paese sono diventati una cosa vergognosa? O un tipo di comportamento ‘opportunista’?” ha scritto sulla piattaforma social WeChat. Secondo Li, l’ispirazione per la canzone è arrivata dal 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 2019. Nel suo post su WeChat, ha spiegato che il progetto originale aveva coinvolto 70 rapper ma non poteva essere completato in tempo. Così, approfittando del nuovo anniversario del 1° luglio, Li ha aumentato il numero degli artisti, portando a bordo altri 30 cantanti, per adeguarsi alla nuova occasione (dai 70, previsti per i 70 anni della Repubblica popolare cinese, ai 100, come gli anni del Partito).

L’hip hop e il rap sono popolarissimi in Cina, dove alcuni artisti sono nomi familiari a tutti, e reality show come Rap of China generano centinaia di milioni di visualizzazioni. Tuttavia, a differenza degli Stati Uniti, dove l’hip hop è noto per sfidare l’autorità e denunciare la brutalità della polizia, i rapper cinesi sono obbligati a mantenere un’immagine pulita e astenersi dal criticare il governo. La popolarità dell’hip hop in Cina ha anche mostrato l’adattabilità del partito nel cooptare nuove forme di espressione culturale giovanile, per raggiungere i giovani. La critica alla canzone, infatti, riguarda principalmente la sua musicalità, non il contenuto, Ma l’ambizioso progetto del “povero” produttore Li – la canzone si intitola, con una scelta non proprio originale, “100%” – non è proprio piaciuta a nessuno. Il popolare influencer musicale Eraifu è stato feroce su Weibo, affermando di aver compreso le difficoltà nel produrre una canzone con così tanti cantanti coinvolti e che il progetto, in quanto tale, meritava rispetto. “Ma onestamente il pezzo è bruttissimo. Mi dispiace” ha scritto senza mezzi termini.

Tutt’altra reazione ha suscitato invece il brano ipernazionalista Red, di Kindergarten Killer, considerato dalla critica un esempio di come dovrebbe essere eseguita una canzone rap patriottica. È stato approvato dai media statali cinesi e, cosa più importante, è stato apprezzato dagli ascoltatori, ottenendo centinaia di migliaia di ascolti sulle piattaforme di streaming.

Il brano, per espressa dichiarazione degli autori, nasce come una risposta alle proteste anti-governative del 2019 a Hong Kong.

E del resto – e la data non venne certamente scelta a caso, all’epoca, vista la ben nota ossessione cinese per la numerologia – il prossimo 1° luglio non sarà soltanto l’anniversario dei cento anni del Partito Comunista, ma anche quello dei 24 anni dal ritorno di Hong Kong sotto la sovranità di Pechino, il 1° luglio 1997. Un anniversario, quest’ultimo, che nell’attuale situazione in atto nell’ex colonia britannica, per i boiardi del Partito che continuano a tenere saldamente le redini dell’enorme Paese, è forse il più importante di tutti, oggi come oggi.