DI FRANCO MANZITTI

Genova a una tappa importante dell’inchiesta giudiziaria sul crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto 2018. La Procura della Repubblica di Genova ha chiesto il rinvio a giudizio per 60 imputati.

La richiesta di rinvio a giudizio porta la firma di Francesco Cozzi, procuratore capo. È l’ultima firma della sua carriera, prima della pensione. A Genova è la richiesta di rinvio a giudizio più attesa, nel processo più atteso in questa Italia. Sofferente tra grandi crisi, uscite dalla pandemia e timori di varianti, nell’estate che dovrebbe segnare un ritorno alla normalità.

Francesco Cozzi, procuratore capo a Genova ha firmato in queste ore 60 richieste di rinvio a giudizio nell’inchiesta sul crollo del ponte Morandi, la cui tragedia sta per compiere tre anni.

Gli atti dell’accusa finiranno sul tavolo del giudice che fisserà la data dell’udienza preliminare. Cioè il giorno in cui comincerà il processo di primo grado per stabilire chi è stato responsabile di quel crollo tragico. Che fece 43 vittime e spezzò in due la città di Genova, provocando uno dei più grandi disastri in epoca di pace e senza cause naturali.

Questo atto sarà l’ultimo che Cozzi compie nella sua carriera di magistrato quasi sempre impegnato negli uffici della pubblica accusa. Infatti il 5 luglio scatta per lui la pensione, che una regia cronologica ha fissato proprio nel momento più delicato della storia professionale di questo magistrato.

Quello della conclusione di una inchiesta colossale, nata sulle macerie di quel ponte, continuata in una tempesta giudiziaria. Nella quale l’ufficio della accusa ha portato avanti un lavoro complicatissimo. In un equilibrio difficile tra accertamenti, demolizioni e ricostruzioni.

Il riserbo copre il risultato di questi tre anni di indagini. Gli indagati che erano una settantina, sono diventati 60 per cui è richiesto il rinvo a giudizio. Un numero leggermente inferiore, perché l’atto finale contempla un certo numero di archiviazioni. “Non abbiano voluto fare di ogni erba un fascio”, dicono in Procura a Genova nel giorno in cui il velo si alza dalle decisioni conclusive.

Si sa che i livelli di responsabilità accertati sono tre. Il più alto è quello della società Aspi e della sua finanziaria Atlantia, a larga maggioranza Benetton. Avevano in concessione il tratto di autostrada A10, crollato in quella tragica mattina del 14 agosto 2018, ore 11,37 del mattino, in mezzo a un nubifragio.

Poi c’è il livello dei responsabili dei controlli ministeriali. Avevano il compito di verificare se il concessionario rispettava il contratto nelle manutenzioni dell’opera data in concessione.

E infine c’è il terzo livello più locale dei responsabili autostradali, che avevano in carico il tronco funestato dall’incidente.

Per arrivare a questa conclusione i magistrati della Procura genovese hanno compiuto montagne di accertamenti. Possibili in gran parte anche grazie alla digitalizzazione degli atti. E a uno speciale cervellone elettronico, che era stato battezzato “La Bestia”. E che ha permesso di mettere in fila le montagne di atti e di documenti che riguardavano la gestione del ponte Morandi.

Si pensi solo a quante intercettazioni sono state esaminate e raffrontate. A quanti personaggi sono stati passati al setaccio dai giudici e dalla Guardia di Finanza per ricostruire la storia di un ponte che era un osservato speciale da anni prima della tragedia.

A chi contesta la lunghezza dei tempi dell’inchiesta, i giudici, riservatissimi per tutto l’arco delle indagini, come di rado accade, ribattono che sono stati gli “incidenti probatori” la ragione di una dilatazione temporale forse un po’ inattesa.

Per far svolgere questo atto istruttorio nel quale la pubblica accusa e la difesa (in questo caso di dovrebbe dire le difese per la molteplicità dei soggetti interessati) si confrontano. Con perizie dettagliatissime e spesso anche tecnologicamente molto sofisticate. Lo stesso palazzo di Giustizia di Genova ha subito una trasformazione. Con la costruzione al suo interno nello spazio del grande cortile di una tenso struttura. Fatta apposta per poter svolgere in tempi di Covid e di pandemia quegli atti, senza violare le distanze tra giudici, avvocati e periti.

L’idea di svolgere questi atti cruciali nel cuore dello storico palazzo della Giustizia genovese è proprio dello stesso procuratore Francesco Cozzi. L’ha copiata dal nuovo Ponte Morandi, che oggi si chiama Ponte san Giorgio. Su di esso, esattamente un anno fa, nel giorno della sua miracolosa inaugurazione, venne allestita una struttura speciale per ospitare tutte le autorità accorse a Genova. Dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a quelli della Camera e del Senato Fico e Casellati.  Il presidente del Consiglio, che allora era Giuseppe Conte. E la presidente della Corte Costituzionale Cartabia, e altri ministri tra i quali Luigi Di Maio e Bonafede. Nonché leader come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, una specie di plenum istituzionale mai visto tutto assieme.

Per ascoltare gli autori del miracolo di ricostruire il ponte in meno di un anno, e cioè il sindaco-commissario Marco Bucci e l’architetto Renzo Piano e i discorsi di plauso del premier Conte. Sul ponte nuovo di zecca era stata allestita una copertura totale delle due corsie che ha suggerito a Cozzi la soluzione al delicatissimo problema dello spazio in cui consentire lo svolgimento di quegli “incidenti probatori”. Tanto importanti per decidere le responsabilità della tragedia, secondo l’accusa costruita atraverso i suoi accertamenti così complicati.

Dopo la trasmissione della richiesta di rinvio a giudizio e la fissazione della udienza preliminare tutto sarà pronto per il processo, che presumibilmente occuperà molti mesi del 2022.

Ma si prevede che entro un anno si arriverà alla sentenza. Vuol dire che nell’autunno del prossimo anno, a quattro anni dalla tragedia, la giustizia avrà ottenuto un primo risultato, parziale, ma in qualche modo conclusivo.

Troppo tempo, mentre il dolore dei parenti delle vittime non si è certo attenuato. E mentre la questione della manutenzione autostradale è esplosa in Liguria in modo clamoroso. Isolando la regione per i cantieri che invadono tutta la sua rete autostradale?

Cozzi va in pensione con la coscienza a posto perché il suo ufficio è arrivato in fondo. E ha individuato i presunti responsabili della tragedia. Che ora andranno alla prova del processo, del confronto tra quel castello di accuse e le loro difese.

C’è da chiedersi se è a posto la coscienza dei politici che hanno gestito la vicenda della concessione. Che si sono succeduti addirittura con tre governi e altrettanti primi ministri (Conte 1, Conte2, Draghi). Per arrivare a risarcire con 9 miliardi la concessionaria Atlantia per l’atto di revoca. Tanto discusso, tanto atteso, tanto a lungo e inutilmente rivendicato.

Hanno fatto crollare un ponte, sotto c’erano 43 vittime. Hanno fatto smascherare un sistema di manutenzione autostradale che era di fatto inesistente e per rimediare al quale si allestiscono cantieri che danneggiano massicciamente l’economia genovese e ligure. E ora hanno il problema di investire bene questi capitali, mentre i morti aspettano giustizia e i parenti continuano a piangerli.