di Juan Raso

 

Ricordo ancora il momento glorioso di quel pomeriggio del 9 luglio 2006, quanto l’Italia batté la Francia 5 a 3 nella finale dei campionati del mondo di Berlino. Era l’Italia di Pirlo e  Del Piero: fu Fabio Grosso a segnare l’ultimo calcio di rigore che diede alla nazionale azzurra la sua quarta coppa mondiale. La sofferenza di quella estenuante partita trovó sfogo negli abbracci di tanti connazionali davanti allo schermo gigante collocato su una sulle pareti della Casa degli Italiani di Montevideo, la nostra casa.

A volte penso  che le complessitá attuali della presenza italiana in Uruguay fanno dimenticare la storia recente della nostra comunitá, che é stata nel passato - per quanto piccola - tra le piú attive del continente latinoamericano. Non sto parlando di epoche piú antiche ricordate per i flussi migratori, ma di quel movimento sociale,  politico e culturale favorito dalla nascita del CGIE nel 1988 e che contraddistinse - como fatto prestigioso - la nostra storia di emigrazione durante i due decenni successivi.

Tra diverse espressioni, la Casa degli Italiani resta il segno piú visibile di quei tempi. La Casa ha ospitato massime autoritá politiche e prestigiosi esponenti dell’emigrazione del nostro Paese, mentre tutti ricordiamo riunioni culturali e sociali realizzate nella sede di 8 de Octubre. Oggi purtroppo sento notizie contraddittorie che opacano il prestigio della Casa, quella casa che - voglio ricordare - é tutta nostra, perché appartiene alla comunitá italiana dell’Uruguay. Non lo affermo “per sentito dire” o come espressione retorica, ma perché cosí lo dicono “le carte”.

Mi piace ricordare in questa occasione le origini del progetto, voluto fortemente dalla comunitá sin dagli anni ’70. Diverse nostre istituzioni avevano sedi proprie, ma non vi era un centro di riunione per tutti gli italiani indipendentemente dalle origini regionali o altro elemento di coesione comunitaria. E’ vero che nel passato vi era stato un Circolo Italiano, ma era solo un “club” per gli Italiani (non molti) appartenenti al ceto piú ricco della collettivitá. 

L’assenza di una sede era giustificata da due motivi: a) avere un vero centro di italianitá dove potessero partecipare persone con la sola condizione di essere italiane o simpatizzanti dell’Italia; b) offrire alla istituzioni piú piccole e meno facoltose spazi da usare per riunioni sociali e culturali.

Il momento perfetto si produsse quando la Scuola Italiana, padrona dell’immobile di 8 de Octubre adibito a giardino d’infanzia, decise venderlo. A sua volta il Comites raccolse i fondi necessari per l’acquisto: l’edificio era sito in una zona ideale della cittá ed era giá noto agli italiani proprio per la presenza della Scuola Italiana.

Fin qui tutto bene, ma sorse un problema legale. Il Comites non aveva la personalitá giudica e quindi tecnicamente non poteva essere il titolare formale del rogito di acquisto. Infatti secondo le leggi locali solo puó attribuirsi la personalitá giuridica a una organizzazione con statuti e soci, mentre il Comites non aveva questi requisiti. Non era una associazione, né le sue autoritá erano elette da soci, ma - come sappiamo - da elettori non legati da vincoli istituzionali con il Comites, il cui diritto di voto nasceva dal fatto di essere cittadini italiani. 

Non era facile risolvere il problema e l’Ambasciata d’Italia intervenne con decisione: ascoltó i membri del Comites, fece sondaggi a livello di altre istituzioni, convocó la direzione della Scuola Italiana (rappresentata all’epoca dall’indimenticabile suo presidente Fulvio Benini) per trovare una via d’uscita che consentisse al Comites acquistare la Casa degli Italiani a nome di tutta la collettivitá.

La decisione fu approvata da tutte le parti: l’AIUDA, istituzione con personalità giuridica e rispettata da tutti per il suo operato, avrebbe messo a disposizione del Comites la sua personalitá giuridica e l’immobile técnicamente acquistato da detta Associazione, sarebbe stato patrimonio comune degli Italiani in Uruguay.

Fu cosí che alla presenza dall’Ambasciatore Angelini Rota, il Comites rappresentato dalla Presidente María Arena e l’AIUDA rappresentata dal Presidente Angelo del Duca, firmarono un accordo il 31 maggio 1992.

Il documento - annunciato con grande solennitá il 2 giugno seguente nella stessa Casa - stabiliva che “l’immobile di Avenida 8 de octubre 2655, denominato Casa degli Italiani, é da considerarsi patrimonio della collettivitá italiana dell’Uruguay”.

Con questa premessa, il Comites prendeva a suo carico qualsiasi “responsabilitá, onere o diritto” sull’immobile, gestendone l’amministrazione, mentre l’AIUDA si impegnava a collaborare in quei casi in cui, essendo legalmente titolare del bene, era  necessario firmare documenti ai fini dell’espletamento di eventuali pratiche legali.

Per il suo intervento, si riconosceva all’AIUDA l’usufrutto dei locali necessari per le sue attivitá, contribuendo l’ente al pagamento delle spese comuni in misura proporzionale all’uso dei locali. 

Ho ricordato questi precedenti, per segnalare che é vero che giuridicamente l’immobile appartiene sin del 1992 all’AIUDA, ma questo intervento fu fatto a nome della collettivitá italiana tutta. Non bisogna essere esperti legali per capire che quanto firmato nel 1992 e mai contestato durante quasi trent’anni, va rispettato oggi più che  mai. Il primo passo, se vogliamo ricostruire una collettivitá a rischio di erosione, é proprio quello di riconoscere la Casa como un patrimonio comunitario, un bene che ricorda una collettivitá operosa e tanti dirigenti - la maggior parte deceduti - che hanno lavorato con passione per tutti noi.