C'è una partita che si è già consumata tra Grillo e Conte, ed è quella del linguaggio. La politica è linguaggio. Sempre. Nulla evoca la Dc come l'eloquio involuto di Aldo Moro, le battute sardoniche di Andreotti, l'oratoria cauta e vaga dei vecchi dorotei.

Poi si ricordano motti e vezzi dei grandi oratori che hanno dato un volto ai loro partiti: il 'calcio in culo' a De Gasperi rimane l'emblema della forza polemica di Togliatti; ancora oggi si cita la battuta di Nenni sul destino del puro epurato da uno più puro. E via scorrendo l'album di famiglia dei grandi attori politici del Novecento: Almirante, Berlinguer, Fanfani.

Verrà il linguaggio della seconda repubblica, segnato massimamente dal ritmo televisivo imposto da Silvio Berlusconi, a cui si è adeguata tutta la comunicazione politica. Più tardi la rete e i social renderanno la tv soltanto un elettrodomestico: la comunicazione politica poggerà sui centoquaranta caratteri di Twitter, diverrà secca e sferzante, alla ricerca di calambour piuttosto che di riflessioni.

Infine Beppe Grillo sdoganerà la parola più volgare del vocabolario, quella che un tempo segnava il superamento del confine della civiltà della conversazione: vaffa. E il vaffa diverrà il motto della politica anti politica, della lotta alla casta, nonché-con minore consapevolezza- alla buona educazione e alla civiltà dei rapporti.

La politica perderà il fascino dei cavalieri antichi, la magia degli scontri duri interrotti da gesti di riconoscimento reciproco, di condivisione. Grillo introdurrà una rottura che parrà salutare solo agli inseguitori seriali del nemico di turno. In realtà il linguaggio di Grillo-e la sua vuota violenza- sono stati un danno sistemico difficilmente riparabile per la politica e il 'sentiment' pubblico del popolo italiano.

Giuseppe Conte almeno a questa deriva ha posto fine. La comunicazione dell'ex premier potrà apparire verbosa, talvolta levantina. Ma Conte parla in modo garbato, rispetta l'avversario, non usa parolacce, non trasmette messaggi divisivi. In parole povere: rieduca al linguaggio della politica.

Chiunque prevalga tra Grillo e Conte, Giuseppi ha già vinto la sua partita più importante, quella del linguaggio: dal corpo del movimento si è prodotta una reazione immunitaria al virus della violenza antipolitica. Il popolo pentastellato ora è appeso agli avverbi e agli aggettivi di Giuseppe Conte, non a caso estimatore di Aldo Moro.

Il vaffa è lontanissimo, e Beppe Grillo appare improvvisamente per quello che è: un signore anziano e scomposto, il bizzarro prodotto di un corto circuito della infinita transizione italiana.

di Gianfranco Rotondi