di Elisabetta Gualmini

Giuseppe Conte è stato epurato. Con una brutalità che non sorprende, Beppe ci ripensa e si ripiglia tutto: partito, piattaforma, iscritti, regole e non-regole, pure la Visione. Più che un Vaffa a Conte rifila un bel “Sei fuori”, come nei tempi passati. Ricordate i Pizzarotti, i Favia, le Salsi, le Fucsia? Tutti fuori.

Dietro al gesto paradossale di Grillo che dopo aver scelto Conte prima come Presidente del Consiglio e poi come capo politico del Movimento decide di detronizzarlo nel giro di una notte, c’è molto di più del delirio di onnipotenza del leader in declino o la follia del padre-padrone (bollito secondo Travaglio).

Tre elementi che vanno considerati.

Primo. L’inevitabile tensione, sottolineata un po’ da tutti, tra i valori e i miti delle origini e una “normalizzazione” sempre più imposta dall’ingresso nelle istituzioni e nei ruoli di governo, difficile da gestire. Il Movimento 5 Stelle nasce come aggregazione certamente leaderistica, ma basata sulla ricerca della democrazia diretta, di una partecipazione dal basso orizzontale e assoluta, tramite la Rete e i Meet-up, sul coinvolgimento di tutti a programmi fluidi e sempre in corso d’opera (la wikipolitica) e sul rigetto delle competenze in nome della ventata di aria fresca portata dai dilettanti della politica. Come questo potesse conciliarsi nel lungo termine con le lungaggini e le farraginosità della democrazia parlamentare, e con i necessari compromessi sia a destra che a sinistra dei membri del governo in una fase di emergenza del paese era un po’ mistero.

Secondo. La leadership monocratica di Grillo e l’impossibilità di una struttura di comando duale. Sebbene spalleggiato da Gianroberto Casaleggio, Beppe Grillo è sempre stato un uomo solo al comando. Il leader-carismatico, il leader-influencer, il leader- plebiscitario. L’istrione che si è inventato qualche passo di lato in momenti eccezionali (con i governi Conte e poi con Draghi), ma che non ha nessuna intenzione di cedere l’intera sua creatura ad un altro da sé (quello dello Statuto del ’600). “Io devo essere il capo politico di un movimento … però il mio ruolo è anche quello di garante, di controllare, di vedere chi entra con soglie di attenzione molto alte…” Cosi diceva Grillo lanciando la campagna elettorale del 2013. Un’ambiguità mai risolta, garante o leader assoluto? E così la trasmissione d’impresa è andata a farsi friggere.

Terzo e più importante. Andare oltre il consenso. Come è possibile che Grillo abbia in spregio quel 15-16 per cento di consensi che ha nel paese e il livello altissimo di popolarità di Conte? Grillo spariglia e con una inversione a U torna al punto di partenza. Quello di un Movimento basato più su uno stato emotivo che sulla ricerca di consenso, sull’utopia e l’immaginazione più che sulle cariche di potere, sul popolo puro e incorrotto che cerca risposte nuove e non sulle antiche liturgie della politica. Insomma, una scommessa folle che distrugge tutto e tutto recupera.

A questo punto non rimane che una separazione netta, forse poco consensuale. Tra i due Giuseppe. Una scissione vera e propria tra governisti e movimentisti, tra Contiani e Grillini, che se non metterà a rischio il governo Draghi certamente darà un forte scossone al futuro assetto già fragile e fluttuante del nostro sistema politico.