La vicenda che sta attraversando il Movimento 5 Stelle assomiglia ad una commedia dell'assurdo e lo scontro tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte ha un che di paradossale. È possibile che in queste ore tra i due si fili una ricucitura, ma la cosa è poco interessante. Anche avvenisse, sarebbe posticcia, fatta su un tessuto ormai sdrucito.

Gli aspetti interessanti, invece, sono altri, più profondi e drammatici. Il primo riguarda l'essenza dei populismi, il secondo la fragilità del sistema istituzionale e politico italiano. Questi aspetti si legano inscindibilmente, come dimostrano la storia, anche meno recente, e la vicenda alla quale, appunto, stiamo assistendo. Per adesso, però, limitiamoci a guardare il primo.

I populismi sono anzitutto fenomeni sociologici, ancor prima che politici. Fenomeni trasversali, che possono nascere a destra come al centro e a sinistra, tra i conservatori come tra i riformatori, tra gli ortodossi delle ideologie come tra coloro che si professano, pur mentendo, liberi dalle ideologie, come sostengono Beppe Grillo e molti "grillini".

Nella sostanza, chi dà vita a questi movimenti si trasforma, almeno all'apparenza, in raccoglitore dei malesseri della società e nel loro risolutore, con ricette semplici, facilmente comprensibili e di immediata presa psicologica. In realtà, il modo semplificato e diretto di relazionarsi con la massa è solo l'involucro mieloso della costruzione. Le finalità realmente perseguite sono molto più raffinate e nascoste.

Per realizzarle è indispensabile, anzitutto, far credere al popolo che esso sia l'unica realtà pre-politica e naturale, per sua stessa vocazione legittimata ad esercitare il potere. Il paradosso è che il popolo o una sua parte finisce per credere davvero di avere queste caratteristiche, di essere giusto e virtuoso, a differenza di tutti gli altri e dell'élite di governo, alla quale nega funzione rappresentativa perché "traditrice", "colpevole" e "sporca".

Alla fine, chi mette in atto queste tecniche manipolatorie riesce davvero a fare identificare il popolo o una sua parte con sé stesso. I populismi, allora, diventano rovinosi perché sconfinano in forme di esercizio del potere, anche di fatto, contrarie alle regole costituzionali e perché introducono nel sistema ricette di risoluzione dei problemi inadeguate, se non addirittura nocive.

Gli obiettivi ultimi di chi si pone alla testa di questi movimenti, dunque, sono essenzialmente la presa e l'uso del comando quale strumento di massificazione e conformazione collettiva, e poi di controllo del sistema o di sue porzioni. In tutto questo, è perfino banale dirlo, non c'è niente di democratico, se non una farcitura esterna, buona solo ad ingannare i commensali.

Questi aspetti, in queste ore, stanno venendo allo scoperto, proprio, nella figura di Grillo. La trasformazione del Movimento in partito strutturato ha determinato nel suo fondatore un vero e proprio rinculo. Liberatosi, prima, dall'ingombro di Davide Casaleggio, così da rimanere l'unico detentore delle chiavi, è poi partito all'attacco di Conte per mantenere la sua personale ed esclusiva centralità manipolatoria e il suo ruolo dirigista. Se avesse accettato di perdere questa doppia centralità, avrebbe determinato la frana ideologica non tanto o soltanto della creatura da lui ideata, quanto e primariamente la sua frana personale.

Il Movimento di lotta e di rivoluzione, perciò, non morirà: ci sarà sempre chi nella base non accetterà di perdere il pedigree di giusto, puro e salvatore della verità, e chi al vertice non accetterà di perdere il potere manipolatorio e di direzione del sistema.

È l'illusione democratica, baby, venduta per qualche click.

di Alessandro Giovannini