Quasi 13 milioni di euro l’anno. A tanto ammonta (per la precisione 12,6 milioni) la sola voce dei rimborsi ai gruppi parlamentari del Movimento, la «benzina» essenziale per consentire il funzionamento della «macchina» e dell’attività politica dei Cinque stelle, che non percepiscono finanziamenti privati e devono contare sui contributi degli eletti, molti dei quali non versano più da tempo.

 Alla Camera, il Movimento percepisce circa 53 mila euro l’anno per ciascuno dei 161 deputati «reduci» rispetto al boom elettorale del 2018, quando erano ben 222. Mentre a Palazzo Madama lo Stato rimborsa ai pentastellati circa 55 mila euro per ciascuno dei 75 senatori rimasti (all’inizio erano 112). Rispettivamente, pallottoliere alla mano, si parla di 8,5 e 4,1 milioni l’anno.

Inoltre c’è la gestione di oltre 130 dipendenti che consentono il funzionamento della macchina parlamentare grillina: circa 80 a Montecitorio e 55 al Senato. In caso di scissione, molti di loro dovrebbero essere licenziati perché verrebbero a mancare i fondi per gli stipendi. E del loro futuro che ne sarebbe? Con quale dei nuovi «partiti»?

Superato lo scoglio dell’arruolamento delle truppe a Montecitorio e Palazzo Madama, per Conte si porrebbe poi il problema di fondare un partito ex novo. «Con quali fondi? — si chiede maliziosamente un fedelissimo di Grillo — Finanziamenti dai privati? Quelli che abbiamo sempre rifiutato in nome della trasparenza?».