Di GIANNI PITTELLA

Mario Draghi è al timone dell’Italia solo da pochi mesi e il mare prima procelloso appare oggi calmo e senza vento. In realtà, la bonaccia cela una rivoluzione silenziosa che molti non hanno ancora compreso.

Un cambiamento che riguarda anche la natura, i caratteri, i rapporti negli schieramenti politici, e non solo per via delle intese larghe di un governo d’emergenza.

Nel centro destra, il primo effetto è il ritorno al sogno stabilizzatore di una Cdu italiana tra quelle forze dello schieramento che sono a sostegno del governo.

Un progetto rilanciato dal vecchio leader Berlusconi e che Salvini cavalca con l’unico scopo di difendersi dall’insidia interna di Giorgetti e Zaia e da quella esterna di Meloni. Ma dubito Salvini possa esserne interprete coerente.

Presto o tardi, il suo travestimento sarà costretto all’angolo proprio dal consenso crescente che il Paese tributa alla Meloni e, per contrastarne la leadership, il capo leghista potrebbe vedersi costretto a rispolverare il celodurismo populista e antieuropeo e a generare a sua volta contraccolpi non privi di intelligenza col nemico (cioè con i moderati di centrosinistra) da parte di Giorgetti e Zaia.

In ogni caso, mentre il centrodestra del post Draghi si muove eccome, pur nelle sue contraddizioni, il centrosinistra appare statico anche se non immobile. Meglio, il Partito Democratico che ne dovrebbe essere il perno appare subire i cambiamenti senza un vero tentativo, pur tra progressivi aggiustamenti, di guidare il processo politico e prepararsi alle prossime sfide.

Soprattutto non appare saper cogliere e accogliere la traiettoria dell’esperienza riformista del governo Draghi.

Lo abbiamo scritto più volte e, senza cadere nel ‘ve l’avevo detto’, registro che i risultati della romantica nostalgia da parte del PD del governo Conte e del ‘torneremo a riabbracciarci’ del suo immaginifico premier, non poteva che condannarci a una afona irrilevanza strategica.

Le vicende, che rispetto, che attraversano i 5Stelle mostrano ancora una volta quanto aver incoronato Conte prima leader di coalizione poi leader del Movimento sia stato a dir poco prematuro, in realtà un marchiano errore politico.

E non perché non apprezzi l’evoluzione di Conte su sentieri moderati ma perché penso che il PD avrebbe dovuto occupare lo spazio politico dell’iniziativa riformista, di Draghi semmai essendo pungolo positivo nel fare e decidere contro le incrostazioni e l’immobilismo.

E su questa linea avrebbe dovuto coinvolgere tutte quelle forze moderate, parlamentari e soprattutto fuori dalle aule, lavorando a dare consapevolezza politica anche in Italia a quel campo articolato di forze che in Europa si sono ritrovate a dar vita alla c.d. maggioranza Ursula.

Abbiamo scelto invece di fare il contrario: appiattirci in modo quasi esclusivo sui 5Stelle e finendo per fare noi PD l’ala sinistra della coalizione secondo il vecchio schema ‘nessun nemico a sinistra’.

Mi rivolgo ancora una volta a Letta. Nessuno di noi ignora le difficoltà di una ricollocazione strategica cui è chiamata la sua segreteria. Ma al nostro Segretario non manca certamente la lucidità di intendere che permanere in uno stato di sospensione e di immobilismo in una fase di grande trasformazione equivalere a disperdere una occasione davvero decisiva per il partito e per il Paese.

Il mio invito è semplice, addirittura naïf : apra un cantiere per un nuovo Ulivo, un fronte ampio, articolato, soprattutto che sia un’alternativa credibile di governo di fronte agli italiani.

Un fronte che abbia nel PD la sua guida moderata e riformista, capace di essere perno e riferimento per forze più tradizionalmente delle sinistre e per forze moderate che non si lasciano irretire dalle sirene leghiste e meloniane.

Questo fronte dovrebbe sperimentarsi già sull’agenda di governo e poi, apertamente, nella scelta del prossimo inquilino del Colle, in modo da accelerare, sul finire della legislatura, la scomposizione del bipolarismo inconcludente e perdente nel quale il Paese è invischiato.

È tempo di misurarsi con coraggio e visione, con la sfida del coraggio di innovare schemi e contesti. Restare in attesa e sulla difensiva sarebbe solo il preannuncio di una rassegnata resa all’inevitabile.