Le ultime gesta dell'operato dei no-vax li vede coinvolti nella vendita di falsi passaporti vaccinali. Ma non mancano neanche incursioni con recensioni critiche sui siti di ristoranti e attività commerciali che seguono le restrizioni anti-covid. Parliamo ovviamente della sempre più nutrita schiera no-vax. Un report del Center for Countering Digital Hate ci dà la misura della loro capacità d'influenza e dell'enorme indotto economico.

La comunità no-vax è infatti arrivata a circa 62 mln di seguaci sulle principali piattaforme social, una vera e propria industria capace di fatturare in un anno oltre 36 mln di dollari. Ma anche di rendere profitti per le big tech per circa 1 miliardo di dollari all'anno. Il rapporto del CCDH svela le strategie e la portata economica dei dodici principali diffusori di disinformazione sui vaccini a livello mondiale. Tra questi uno dei più famigerati in rete è Robert F. Kennedy Jr, erede della dinastia Kennedy, in grado di guadagnare circa 255mila dollari all'anno come presidente di "Children's Health Defense", un'associazione no vax che pubblica in rete messaggi sulla pericolosità dei vaccini sulla salute del bambini.

Barbara Loe Fisher, un'altra influencer inserita tra i 12 super diffusori di fake-news, guadagna 55.950 dollari all'anno come presidente del "National Vaccine Information Center", un'associazione ben ramificata anche nella comunità italiana dei no-vax. La capacità organizzativa e manageriale di questi veri e propri imprenditori della disinformazione ha fatto si che i gruppi anti-vaccinisti siano riusciti anche ad ottenere almeno 850.000 dollari di fondi federali per il soccorso del coronavirus. Ovviamente una rete cosi ben strutturata e organizzata richiede delle infrastrutture in termini di forza lavoro: secondo la società di analisi aziendale "Dun & Bradstreet", è possibile stimare che le organizzazioni associate ai principali leader no-vax impieghino circa 266 persone.

Per esempio l'imprenditore anti-vax Joseph Mercola, uno dei più popolari sulla rete, conta 94 dipendenti per le sue attività. Addirittura, uno studio condotto con lo strumento "Recruiter Lite" di LinkedIn, ci da la prova che la "Mercola Consulting Services" impieghi dozzine di dipendenti nelle Filippine per lavorare su contenuti di social media, e-mail e articoli di marketing su salute alternativa. Secondo un'analisi condotta sui contenuti no-vax circolanti su facebook tra febbraio e marzo scorsi il 70% di questi sarebbe da ricondurre alle campagne disinformative dei 12 influencer.

I gruppi facebook presi in considerazione per questa analisi, che si sono appoggiati alla narrativa anti-vax, variano tra i 2.500 e i 235.000 membri e sono stati in grado di generare fino a 10.000 post al mese. Il sistema infatti prevede che collegati a questa dozzina di super spreader ci siano altri anti-vax che collaborano attraverso schemi di marketing di affiliazione. Gli imprenditori più popolari con un prodotto da vendere assumono altri come "affiliati" che poi condividono materiali di marketing con il proprio pubblico. Assegnando un ID univoco a ciascun affiliato, i boss anti vax possono tracciare il numero delle vendite generate da ogni affiliato e pagare loro una commissione su ogni vendita.

A questo punto sorgerebbe spontanea la domanda sul come sia possibile che questa rete imprenditoriale della disinformazione non venga smantellata dai giganti del web. E altrettanto spontaneo viene il sospetto che il guadagno sui 63 mln di seguaci delle teorie no-vax faccia gola anche alle big tech. Infatti una comunità cosi vasta vale circa 1,1 miliardi di dollari in entrate annuali per i giganti dei social media, generate principalmente dagli inserzionisti.

Come un cane che si morde la coda gli imprenditori no-vax per aumentare il loro indotto economico investono sempre di più in sponsorizzazioni che si traducono in profitti per le big tech e in un aumento esponenziale dei nuovi utenti attratti dalla propaganda anti-vaccinista. Questo pericoloso meccanismo si evidenzia molto bene su youtube: i video degli anti-vax arrivano a generare fino a 707.222 dollari di entrate pubblicitarie annuali, una stima fatta in base al numero di visualizzazioni ottenute dai canali. Il colosso dei video online divide queste entrate pubblicitarie, dando ai creatori di contenuti una quota del 55% ma mantenendo il restante 45%. Questo significa che gli anti-vaccinisti arrivano a guadagnare fino a 388.972 dollari all'anno dalle pubblicità sui video di YouTube, mentre alla piattaforma rimangono in tasca 318.250 dollari. Da oggi insomma il web può annoverare anche la remunerativa categoria degli influencer anti-scientisti.

di Guido Petrangeli