Ragionare seriamente di sovranismi è complesso, perché concetto storicamente e politicamente ingarbugliato. Eppure una riflessione s’impone ora che Lega e Fratelli d’Italia, insieme ad altri 14 partiti, hanno firmato la “Dichiarazione dei valori per l’Europa”.

È un manifesto per una nuova Unione, che sia fondata sulla sovranità degli Stati, che salvaguardi i loro valori, tradizioni e religioni, che contrasti tecnocrazia e limitazione dei diritti delle singole entità regionali, che freni l’immigrazione e tuteli la famiglia. Stando alla dichiarazione di Giorgia Meloni, il progetto è quello della confederazione tra Stati. Per ora, tuttavia, i gruppi parlamentari sovranisti e conservatori rimarranno distinti, anche se, come auspica Matteo Salvini, la loro unificazione potrebbe consentire di fronteggiare più adeguatamente le grandi famiglie (quella popolare e quella socialista) nella scelta del futuro modello di Unione, che esse identificano nello Stato federale: gli Stati Uniti d’Europa. Cerchiamo di capire, allora, qualcosa di più. Ne va del nostro futuro.

Cosa significa riunire gli Stati in confederazione anziché in federazione? La differenza non è semiologica, ma concettuale. La confederazione è un accordo tra Stati per la gestione in comune di alcune materie. L’accordo non comporta la nascita di uno Stato unitario, ma si limita a creare un organismo internazionale, così che ogni Stato confederato conservi la propria autonomia sulle materie a questo non devolute. La federazione è molto di più perché determina la creazione di uno Stato unitario e dunque l’individuazione di confini unici, l’adozione di una moneta e un esercito comune, di una sola politica internazionale, di principi giuridici uniformi.

Certo, in seno allo Stato centrale gli Stati conservano sovranità, ma su un ventaglio di materie più ridotto di quello che consegnerebbe loro la confederazione. La differenza più profonda, tuttavia, sta altrove. La federazione ha una Costituzione unitaria, con principi e valori identici per tutti, vincolanti per gli Stati federati, come accade negli Usa, in Australia, Brasile, Germania, in Austria o Belgio. La confederazione, invece, non ha una propria Costituzione e perciò gli Stati mantengono margini di manovra assai più ampi anche su valori e principi fondativi. Ora, se si ragiona con senso di concretezza, occorre riconoscere che l’attuale Unione è già una confederazione, seppure con aggiunte federative, quali la moneta unica e il Parlamento eletto a suffragio universale.

Essa, però, non è uno Stato in senso proprio e quindi, ad esempio, non ha confini unitari, una politica estera o migratoria comune, un proprio esercito, un sistema di tassazione dei redditi relativamente uniforme, non ha sistemi giuridici quantomeno somiglianti. I punti sostanziali, allora, stringi-stringi, diventano questi: i sovranisti intendono rinunciare alle caratteristiche istituzionali e organizzative che solo uno Stato unitario può avere e quindi ripartire da zero, o quasi, nella costruzione della confederazione, eliminare le forme di protezione dei diritti civili previste dai Trattati, far fuori l’euro, eliminare politiche comuni in materia economica e di debito, oppure vogliono più semplicemente ridurre gli spazi d’intervento degli organi esistenti e rafforzare la protezione delle tradizioni conservatrici delle nazioni?

Gli europeisti, dal canto loro, fin dove intendono contenere la sovranità degli Stati? Pensano di annacquarla fino a renderla una sfoglia trasparente, oppure intendono salvaguardare le caratteristiche culturali dei popoli? I nodi da sciogliere da sovranisti e unionisti sono anzitutto questi e questi sono gli aspetti da far capire ai cittadini italiani ed europei, se non si vuole che i manifesti, indipendentemente dal loro colore, si riducano a slogan buoni solo per raccattare una manciata di voti in più.

ALESSANDRO GIOVANNINI