L'Inghilterra arriva a disputare una finale di un campionato europeo di calcio per la prima volta nella sessantennale storia del torneo. Lo fa sconfiggendo in semifinale a Londra, come da copione ma non senza emozione, i danesi orfani del loro sfortunato prence Eriksen, uno che a Londra, sponda Tottenham, ha costruito gran parte della sua fama calcistica.

Lo fa guidata dall'uomo che, venticinque anni fa, sbagliando un calcio di rigore in campo contro la Germania di Sammer e Bierhoff, l'aveva condannata all'esclusione dalla finale di Euro '96, poi vinta dalla stessa Germania nel "tempio" inglese di Wembley.

Il suo personale conto in sospeso con i teutonici il cinquantenne c.t. Gareth Southgate l'ha chiuso il 29 giugno scorso, quando prima Sterling e poi Kane hanno rimandato a casa i "resti" dell'invincibile armata che sette anni prima aveva umiliato il Brasile come mai in precedenza: 7-1 nel catino di Belo Horizonte, il "Mineirazo". Ma il tempo passa per tutti. In sette anni i tedeschi sono invecchiati, gli inglesi, invece, sono cresciuti. Soprattutto da quando, nell'autunno del 2016, sono stati affidati alle cure dell'ex "capitano di vent'anni" del Crystal Palace, vincitore nel 1994 della First Division, la seconda serie professionistica inglese.

L'uomo di Watford si era guadagnato i galloni di manager della Nazionale dei tre leoni con un tirocinio di tre anni a coltivar talenti nell'Under 21 e, non ultimo, in seguito alle improvvise dimissioni del tecnico titolare, Sam Allardyce, primo sostituto del celebre Roy Hodgson, spazzato via a giugno 2016 dalla sconfitta patita con i vichinghi islandesi agli Europei.

Da selezionatore delle nazionali di Sua Maestà, ha ottenuto migliori risultati che non da allenatore di squadre di club. Il ruolino di Southgate parla infatti di sole quattro stagioni in panchina al Middlesbrough, sua ultima squadra da calciatore, con un 29,80% di vittorie, una retrocessione e un esonero. Le percentuali di vittorie sono salite al 68,57% e al 64,41%, rispettivamente, nei tre anni con l'Under 21 e nei quasi cinque con la Nazionale maggiore.

"Capitan Sensibile", lo chiamavano i suoi compagni al Crystal Palace, il primo ad arrivare al campo per l'allenamento, l'ultimo ad andarsene, intelligente e brillante, meticoloso nell'analizzare i propri errori, non il più dotato tecnicamente, ma quello più disposto a lavorare sodo per migliorarsi. Da allenatore, lascia molta autonomia ai suoi ragazzi, perché, ha detto al Times, soprattutto negli ultimi cinque minuti "potrebbero dover prendere decisioni che ci fanno vincere o ci fanno perdere e non possiamo prenderle noi fuori dal campo".

Ma è anche uno che va per la sua strada e non esita a "tagliare" chi non si incastra nei suoi schemi. Non ha paura di dover prendere decisioni difficili, come, ad esempio, quando ha lasciato fuori due ex punti fermi come Jack Wilshere e Joe Hart. Dei 23 presenti nella "rosa" di Euro 2016, cinque anni dopo ne sono rimasti solo sei: Walker, Stones, Henderson, Sterling, Rashford e Kane. Proprio quest'ultimo, capitano e centravanti, è il suo portavoce in campo, l'alfiere del c.t., al quale finisce con l'assomigliare per l'altezza e la barba da saggio dispensatore di buoni consigli. Harry Kane è cresciuto nell'Under 21 con Southgate fino a diventare "Hurricane", uragano Kane.

E Southgate si è affidato e si affida a lui, ai suoi gol e alla sua forte personalità, per ripercorrere una strada che lo dovrebbe portare, nelle intenzioni, a ricalcare le orme di Sir Alf Ramsey, il selezionatore dell'Inghilterra campione del mondo, quella che vinse nel '66 giocando - orrore - senza ali, ma adattando gli interni Ball e Peters, e poi fidando nel genio di Bobby Charlton e nella grinta di Nobby Stiles.

Di ali e trequartisti fantasiosi, questa Inghilterra è piena: Sterling, Rashford, Foden, Grealish, Saka, Sancho... sono tutti giocatori veloci e dal dribbling facile. La grinta a centrocampo non è mai stato un problema per le rappresentative britanniche, casomai il contrario. Per la prima volta da qualche anno, dopo il precoce declino di Hart, i "bianchi" dispongono di un portiere affidabile (Pickford), al quale la coppia di centrali Stones e Maguire sembra assicurare la necessaria copertura.

Kane non sarà Charlton, ben pochi potrebbero esserlo, ma in questo momento è un attaccante in grado, da solo, di tenere in ambasce qualsiasi difesa, liberando i compagni per la conclusione a rete. Basterà domenica per far vincere all'Inghilterra il suo primo titolo continentale nell'anno che suggella l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea? Il pronostico è di quelli incerti come pochi.

Caduti inopinatamente per mano delle guardie svizzere i grandi pretendenti di Francia, al ballo finale sono arrivate Italia e Inghilterra, due damigelle di nobile lignaggio, entrambe vogliose di rinnovare l'argenteria di famiglia. I loro accompagnatori, Roberto Mancini e Gareth Southgate, da bravi pigmalioni, le hanno rese belle ed eleganti. Sono in molti, adesso, a salire sulle carrozze che le portano al castello di Wembley. Domenica sera una di queste carrozze si svuoterà, mentre l'altra si riempirà all'inverosimile. Questo i due cinquantenni col fisico da trentenne lo sanno. E, giustamente, non se ne curano. Comunque vada, per loro due, è già un successo.