di Ivano Vacondio

La sfida economica globale sul fronte dell’agroalimentare si sta giocando tutta sotto un’unica insegna: quella della sostenibilità. È in nome della sostenibilità che si è aperta la partita del Nutriscore ed è in nome della sostenibilità che oggi, a livello internazionale, molti alzano l’indice contro la dieta mediterranea e a favore di sistemi alimentari massificati e uniformi, ben lontani dai valori nutrizionali proposti dal cibo Made in Italy.

Mettiamo subito in chiaro una cosa: la sostenibilità ambientale è una battaglia condivisa, per la quale l’industria alimentare si impegna da anni e con ottimi risultati su tutti i fronti, a cominciare dal packaging, passando per la riformulazione di oltre 4mila prodotti (diminuendo grassi saturi, zuccheri e sale) e per finire con la lotta agli sprechi.

Sappiamo bene quanto il tema sia importante e come si ripercuoterà sulle nostre vite. Per questo, siamo in linea con l’Unione Europea per mettere in campo tutta una serie di iniziative volte a farci arrivare al net 0 entro il 2050. E però, fatta questa doverosa premessa, non possiamo permettere che, in nome della sostenibilità ambientale, attraverso discutibili meccanismi regolatori, si metta in dubbio la qualità stessa del cibo che proponiamo. Una qualità che è riconosciuta in tutto il mondo e che alcuni paesi vogliono mettere in discussione attuando malcelati tentativi di erodere fette di mercato all’export dell’industria alimentare italiana, che nel 2019 (pre pandemia) è arrivata a toccare i 35,9 miliardi euro e che quest’anno promette di fare altrettanto, con l’ambizione di superarli.

Intendiamoci meglio, allora. Quando si parla di sostenibilità si fa riferimento all’ambiente, ma anche alla società e all’economia. Il nostro è un modello sostenibile dal punto di vista ambientale, perché in Italia negli ultimi trent’anni sono stati fatti enormi progressi attraverso l’ottimizzazione dei processi produttivi, che hanno portato a una significativa riduzione dei consumi di acqua ed energia e delle emissioni di gas serra, alla minimizzazione della produzione di rifiuti, al riciclo degli imballaggi, a un packaging design sempre più ecologico, alla valorizzazione delle materie prime agricole e alla promozione dell’utilizzo di energie rinnovabili.

Ma il food system italiano è un modello di sostenibilità anche a livello sociale perché, attraverso le sue filiere, garantisce occupazione, innovazione e attenzione al territorio. Ed è un modello di sostenibilità economica, perché garantisce la competitività dei sistemi agroalimentari.

Il tentativo di screditare il Made in Italy e la dieta mediterranea nasce dalla sciagurata idea di uniformare i meccanismi di valutazione classificando banalmente i cibi in “buoni” e “cattivi”, con il risultato di arrivare a una omologazione dei modelli alimentari che svilisce il ruolo del territorio, annulla il concetto di diversità alimentare, dimentica la forza della tradizione e il valore culturale del cibo, arrivando a smentire il concetto stesso di sostenibilità, che si basa proprio sulla valorizzazione dei prodotti che i diversi territori offrono e non certo sull’imposizione di modelli globalizzati. La strategia più efficace di promozione della salute alimentare nel pianeta non può passare dalla demonizzazione dei singoli cibi, ma dall’identificazione e dalla promozione di diete che nel loro complesso risultino equilibrate.

Quello della sostenibilità, dunque, è solo lo spauracchio dietro il quale si nasconde una lotta di posizione. Se sapremo farci valere sia in sede europea che di fronte ai competitor globali, non avremo nulla da temere. L’industria alimentare italiana è il secondo settore manifatturiero e ha la filiera agroalimentare più importante nel Paese, con il 25% del Pil nazionale e coinvolge circa 2 milioni di aziende. Sul piano internazionale i nostri prodotti non sono stati fermati nemmeno dalla pandemia globale.

E, guardando alle notizie recenti, la tregua sui dazi americani, che per i prodotti alimentari italiani valgono 500 milioni di euro, dà ancora più fiducia perché indica come sia giusto procedere, senza protezionismi, con rapporti di libero scambio per competere sui mercati mondiali e al tempo stesso assicurare a tutti approvvigionamenti sostenibili.

Niente paura, dunque: il futuro dell’alimentare (sostenibile) è Made in Italy.