di Juan Raso

Se cerco nel dizionario, la parola – che si scrive in italiano  anche come “diseguaglianza” – ha il significato di “mancanza di identità tra cose o persone”, oltre a quello di “relazione tra grandezze secondo cui una è maggiore o minore dell'altra”.

Quando pensiamo agli effetti devastanti del COVID, viene a mente il numero di morti, i contagi, il turismo fermo o le scuole chiuse. Ma non pensiamo necessariamente alla pandemia come una delle cause che ha accelerato la disuguaglianza nel mondo. 

Mi viene da scrivere su questo argomento spinoso per l’incrocio simultaneo di due fattori: una collega mi ha prestato un libro sull’argomento del britannico Atkinson, mentre mercoledì scorso Gente d’Italia ha pubblicato un articolo titolato “Aumentan la pobreza y la desigualdad en Chile”. 

Il secolo XXI è nato sotto il segno della distanza dei redditi ogni volta più grande tra le diverse fasce sociali. Si estende la sfera della povertà (anche per l’Italia i numeri fanno paura), mentre cresce uno spazio ogni volta più assottigliato, che ospita i super-ricchi. La pandemia è venuta ad accelerare una realtà, in virtù della quale la popolazione più vulnerabile è stata colpita con forza dalla disoccupazione, mentre settori agiati hanno ricevuto benefici prodotti dall’aumento di valore di molte comodities o dai guadagni immensi della economia digitale.

Nell’articolo di  Gente d’Ìtalia si ricorda che in Cile – ieri economia stella del continente ed oggi centro di forti tensioni sociali -  la media del 20% della popolazione con maggior reddito è 35,1 volte maggiore del 20% di  minor reddito: in parole povere, un ricco in Cile guadagna al mese 35 volte di più che un povero. L’Italia non è da meno: le informazioni riportano che nel nostro paese i poveri sono saliti a 5 milioni (cioè un italiano su 12 non ha accesso ai beni essenziali dell’alimentazione, l’educazione e la casa): nella scala dell’uguaglianza in Europa, l’Italia è tra i paesi più disuguali, occupando il 23° posto su 27 paesi.

Questi dati mi ricordano Platone, che nel suo libro “Le leggi” scriveva con la sua notevole saggezza che nessuno dovrebbe essere quattro volte più ricco della persona più povera della societá. Oggi le parole dell’illustre filosofo fanno sorridere.

L'economista britannico Anthony B. Atkinson nel suo eccezionale libro “Inequality: what can be done” scrive sulle dimensioni della disuguaglianza contemporanea e il pericolo che ciò comporta per l’umanità. Atkinson non è un estremista di sinistra o un fondamentaista anti-sistema: è un economista capitalista che comprende con la sua razionalità che la disuguaglianza sarà la causa della pericolosa spaccatura della società del futuro e quindi cerca rimedi ad una situazione che considera ormai insostenibile.

Quali sono le cause che hanno determinato che quel mondo in crescita nei cosiddetti “30 anni gloriosi” (dal 1945 al 1974) stia ancorato oggi in un modello sociale, in cui i figli – salvo eccezioni – saranno più poveri dei loro genitori?

Le spiegazioni possono essere molte e diverse: è mia opinione che nel secondo dopoguerra si era venuta a costruire una società in cui il lavoro era un efficiente strumento non solo della distribuzione del reddito tra i lavoratori salariati, ma proprio quello stesso modo di lavorare aveva costruito una previdenza sociale che assicurava tutele a vita, una volta finita la carriera in fabbrica o in ufficio.

Il mondo attuale mostra la caduta dell’impiego tradizionale sostituito da varie forme di lavoro precario – i cosiddetti “lavoretti” – mentre solo una parte dei lavoratori  possono contribuire in forma continua alla previdenza sociale, condannando così la maggior parte delle persone che saranno anziane del 2050 a patire gravi situazioni di miseria.

La seconda causa della disuguaglianza stà nell’educazione: ai miei tempi studiavamo quasi tutti nelle scuole pubbliche, qualsiasi fosse la fascia sociale di appartenenza. La democrazia sociale iniziava proprio lì, sui banchi di scuola dove il figlio del portiere studiava con figlio del dottore e quello dell'operaio con il figlio del funzionario comunale. Oggi l'educazione è ogni volta più differenziata: la pubblica – con livelli ogni volta piú scadenti -  per i ceti bassi e la privata per i ceti alti e medio alti. La crisi della scuola pubblica avvia un circolo vizioso che retroalimenta scarsa formazione, disoccupazione e precariato. La scuola pubblica purtroppo non è più quell'ascensore sociale che io avevo conosciuto e a cui tanto devo.

Atkinson señala alcuni mali della disuguaglianza: perdita del reddito dei lavoratori, disoccupazione, robots che sostituiscono le persone, sistemi di salute differenziati, gravidanze adolescenti, mali sociali come l'esclusione all'accesso di beni essenziali e redditi insufficienti per una anzianità che occuperà nel futuro spazi ogni volta più ampi della popolazione mondiale. 

Le ricette di Atkinson sono quelle tradizionali: una migliore educazione per tutti, più lavoro per gli umani a scapito dei robots e un sistema fiscale che compensi le crescenti disuguaglianza. Se così non fosse, Atkinson ammonisce sull’espansione della criminalità organizzata e avverte su possibili esplosioni sociali, proprio come è avvenuto lo scorso anno in Cile. 

In un mondo a rischio di quarantena e di disoccupazione crescente, il pericolo della disuguaglianza è di casa in ogni paese.  Non dimentichiamolo: la democrazia continua ad essere figlia dell’uguaglianza; perderla è mettere a rischio il principale bene della nostra comune civiltà.