di Claudio Bellumori

C'è più gusto a essere italiani. Suonava più o meno così uno spot televisivo su una nota birra. Perché si sa: una "bionda gelata" formato famiglia, frittatona di cipolle e rutto libero erano gli ingredienti principali del pre-partita dell'italiano medio interpretato dal ragionier Ugo Fantozzi, al secolo Paolo Villaggio, che si apprestava in religiosa estasi pallonara a prendere visione della partita di calcio della Nazionale italiana: calze, mutande, vestaglione di flanella come abito. E poi il match, con tanto di azione convulsa: "La palla è ora a Tardelli, scatto di Tardelli... a Savoldi, tiro, nuca di McKinley, tibia di Savoldi, naso di Antognoni. Nuca del portiere inglese, naso di McKinley, tibia di Benetti, nuca, naso... a Pulici... Tiro pauroso... Palo! Palo!". Fino al proverbiale "scusi, chi ha fatto palo?" concluso con un pugno in faccia. Quella partita vedeva di fronte gli Azzurri contro l'Inghilterra.

Anche domenica è stata la volta di Italia-Inghilterra, finale del campionato Europeo nel tempio di Wembley. Come tutti sanno, la squadra allenata da Roberto Mancini ha alzato la coppa, sconfiggendo ai rigori gli atleti della Perfida Albione. Scene di giubilo sono state immortalate da telefonini e telecamere: tricolori sgargianti nelle piazze, traffico fino a notte fonda, spumanti stappati, euforia generale. Tutto baciato dal sentimento comune ruotato intorno a un gruppo, quello della Nazionale, che ha fatto quadrato e che ha spinto il cuore oltre l'ostacolo. Immagini commoventi, come quella dell'abbraccio tra il tecnico e Gianluca Vialli, un tempo gemelli del gol nella Sampdoria e ora fianco a fianco in quest'avventura, con il primo che stringe a sé il secondo, impegnato a combattere una battaglia ancor più dura con un ospite con cui ha dovuto iniziare a convivere.

E anche gli italiani hanno fatto squadra. Tutti insieme appassionatamente, da Nord a Sud. Nonostante tutto, nonostante i mesi chiusi in casa a causa dell'epidemia Covid, le mascherine, i vaccini e la Dad che va a singhiozzi perché internet è a portata di molti ma non di tutti. Nonostante le storture quotidiane, dove un poveretto viene salvato in sala operatoria da un team di medici precari o dove vieni tacciato di essere fascista solo perché non la pensi come il gregge.

Tutto ciò accade dove hai un patrimonio architettonico che ti invidia il mondo ma che è deturpato dalla bomboletta spray del writer di turno, dove molti si lamentano dell'evasione fiscale ma poi chiudono un occhio se non viene rilasciato lo scontrino ("che vuoi che sia"), dove "si stava meglio quando si stava peggio" però si collezionano più buffi che francobolli pur di comprare lo smartphone di ultima generazione, dove ci si batte il petto la domenica in chiesa ma per conoscere il significato della parola "pietas" si chiede aiuto a Google, scroccando la connessione del vicino, che l'altra sera è stato abbracciato e che un secondo dopo verrà infamato perché l'acqua dei suoi vasi cade sul terrazzino di un altro condomino. Insomma, un Paese dove il primo influencer che passa illustra il Ddl Zan ma solo dopo averlo studiato sulle sacre scritture di Facebook.

Ecco, anche noi per tutta la durata della competizione sportiva abbiamo fatto gruppo. Forse perché il primo articolo della Costituzione dovrebbe recitare che facciamo parte di "una Repubblica democratica fondata sul pallone" e non sul lavoro, visto che l'occupazione è merce rara e pure calpestata, come capitato a quel rider a Cagliari aggredito – durante lo svolgimento della propria mansione – da qualche fenomeno parastatale sceso in piazza per festeggiare la vittoria in semifinale di Giorgio Chiellini & company sulla Spagna.

Occhio non vede, cuore non duole. Meglio buttarla in caciara, nascondendo la polvere sotto il tappeto. Così andiamo a Wembley e lasciamo lì la nostra bandiera, con scritto hic sunt leones. Già, qui ci sono i leoni. Per un giorno d'Italia e non d'Inghilterra. Al futuro ci penseremo. Domani, dopotutto, è già un altro giorno.