di PIERPAOLA MELEDANDRI

Il 14 dicembre 2017, è stata approvata con 180 voti favorevoli, 71 contrari e 6 astenuti, la legge sul biotestamento (legge 22 dicembre n. 219), entrata in vigore il 31 gennaio 2018. La mentalità del nostro Paese è spesso contraria a dare un assetto dei propri interessi anche patrimoniali, oltre che attinenti la propria salute durante la vita. Sembra quasi un comportamento scaramantico, quando nel resto del mondo, la visione è molto più lucida, oltre che da tempo fortemente orientata a pattuizioni di varia natura che tutelino la volontà del testatore, in ogni frangente. Quando non esisteva una legge sul testamento biologico, la formalizzazione per un cittadino italiano della propria volontà riguardo ai trattamenti sanitari desiderati o ricusati poteva variare: il testatore si esprimeva su aspetti eterogenei, come la volontà di donare i propri organi, la cremazione, l’ accanimento terapeutico, l’idratazione, la terapia del dolore o palliativa.

Partendo dall’articolo 32 della Costituzione “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” l’Italia, nel 2001 ha firmato, ratificato e resa esecutiva la Convenzione di Oviedo del 1997, legge 28.03.2001 n. 145, che stabilisce che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione”. Nonostante la legge n. 145 del 2001 abbia autorizzato il presidente della Repubblica a ratificare la Convenzione, tale ratifica non venne depositata presso il Segretariato generale del Consiglio d’Europa, né vennero promulgati i decreti legislativi per l’adattamento dell’ordinamento italiano ai principi e alle norme della Costituzione. Ragion per cui l’Italia non ha fatto mai parte della suddetta Convenzione.

Il Comitato nazionale di Bioetica, nelle more, contempla che i medici dovranno non solo tenere in considerazione le previsioni anticipate scritte su un foglio firmato dall’interessato, ma anche documentare per iscritto nella sua cartella clinica. Il dibattito sul “fine vita”, ha indirizzato l’attenzione della stampa, dei media e della televisione, su singoli casi di pazienti affetti da malattie irreversibili. Queste fattispecie hanno sicuramente contribuito a giungere, passo dopo passo, all’approvazione della legge in esame. La norma prevede il consenso informato: nessun trattamento infatti, può essere intrapreso o proseguito senza il benestare libero e informato del soggetto. Il documento per il consenso informato deve essere in forma scritta, ma può essere sostituito da videoregistrazione, o da altre tecnologie, se il paziente non è in grado di sottoscriverlo di persona. La legge garantisce al paziente il diritto all’abbandono delle terapie, blindando la libera scelta, a discapito di ogni tipo di accanimento terapeutico. Ammessa la terapia del dolore; fino alla sedazione profonda palliativa. Il medico, con il consenso del paziente, avvia così la terapia del dolore, nel caso in cui la patologia in questione sia irreversibile e provochi solo sofferenze dilatorie e inutili.

Ogni paziente informato, in grado di intendere e di volere, può accettare o meno i vari trattamenti, o singoli atti dell’ iter di cura, proposto e, infine, può revocare il consenso in qualunque momento, anche nel caso in cui la scelta porti all’interruzione dell’atto terapeutico. Si può quindi decidere di far cessare la somministrazione della nutrizione e dell’idratazione artificiali, il che può condurre al verdetto di morte. Il medico deve tener conto delle intenzioni del malato, rimanendo esente da responsabilità penali o civili. La legge deve essere rispettata, anche nelle cliniche cattoliche, ma si lascia comunque al medico la possibilità di dichiararsi obiettore di coscienza. In caso di paziente minore o incapace, il consenso informato è espresso da chi ha la responsabilità genitoriale, dal tutore o dall’amministratore di sostegno. Minori e incapaci devono essere informati al pari degli altri, per poter esprimere le proprie volontà. La normativa concede il diritto a tutti i maggiorenni in grado di intendere e di volere di lasciare disposizioni sulle cure in caso di futura incapacità nell’autodeterminazione. Le dichiarazioni vincolano il medico e possono essere redatte sia in forma scritta, o come sopra detto, videoregistrate, in caso d’impossibilità a scrivere. Nelle stesse devono inoltre essere nominati uno o più fiduciari che possano rappresentare il paziente.

Le Dat, dichiarazioni anticipate del trattamento, raccolte (in teoria) in registri regionali, si possono rinnovare, modificare secondo i propri desiderata. Infine, il medico può rifiutarsi di rispettarle nel caso siano ritenute incongrue, ove sia differente la situazione clinica o se siano sopraggiunte nuove cure, dopo la compilazione del documento. È concessa la possibilità di pianificare il tutto in stretta condivisione tra medico e paziente. Il testamento biologico viene, una volta ultimato consegnato al proprio notaio di fiducia, al medico di famiglia a parenti o fiduciari, non essendovi delle linee guida precise e vincolanti o un registro comunale, provinciale o regionale che ne regoli il regime. Altrettanto dicasi per l’obiezione di coscienza del Medico, tutto poco preciso e disomogeneo da città a città, del territorio nazionale. Auguriamoci che l’Italia, dopo essere giunta ad emanare solo recentemente la normativa sul testamento biologico, non intenda, specie alla luce di un periodo tanto delicato come quello della pandemia, che stiamo attraversando, impiegare tempi altrettanto dilatati per disciplinare le fasi esecutive e burocratiche di questa conquista, sotto il profilo della libertà dell’essere umano di poter scegliere, secondo coscienza e dignità, come vivere e quando rinunciarvi.