di Antonio Cianciullo

 

Era il 2016. Edward Wilson in​ Metà della Terra, un libro di grande successo, aveva lanciato una proposta che suonava come una provocazione: trasformare il 50% del pianeta in area protetta per salvare la biodiversità. I biologi avevano applaudito, gli economisti avevano scosso la testa pensando che una farfalla non vale il Pil.

 

Sono passati appena 5 anni e il mondo si è ribaltato. Pochi giorni fa è arrivata la notizia che l’Amazzonia, stroncata dalla cura Bolsonaro,​ emette più anidride carbonica di quella che assorbe. A New York si respira male per colpa della fuliggine che viene dagli incendi della costa occidentale degli Stati Uniti. Germania e Cina sono finite sott’acqua. Insomma il servizio pubblico di depurazione dell’aria e di assorbimento dell’acqua si è guastato. Non siamo ancora riusciti a fare un conto esatto dei danni, ma abbiamo capito che rischiamo di andare rapidamente in bancarotta se non diamo retta a quella farfalla. Che ha bisogno di un fiore. Cioè di un bosco. Cioè di natura.

 

È per questo che il G20 ha aperto a una novità di peso. “Alcuni membri del G20 e altri Paesi sostengono l’impegno dei leader per la natura e alcuni si sono volontariamente impegnati a garantire che almeno il 30% della terra e almeno il 30% dell’oceano sia tutelato attraverso sistemi ben collegati di aree protette e altre misure efficaci di conservazione entro il 2030. I membri che hanno preso questi impegni volontari incoraggiano e supportano gli altri a fare altrettanto”.

 

Certo la proposta resta limitata a un suggerimento. Ma il passaggio successivo rende chiaro che il pressing è destinato ad aumentare: “Riconosciamo che alcune delle potenziali cause alla base di infezioni emergenti e zoonosi sono le stesse che causano la perdita di biodiversità”.

 

Il richiamo al Covid-19 sottolinea l’importanza del passaggio. La principale novità del G20 ambiente, clima ed energia sta qui, nella riconnessione tra sviluppo produttivo e tutela della natura. Nell’idea che al posto della competizione tra questi due concetti ci possa essere collaborazione.

 

L’espressione chiave è “soluzioni basate sulla natura”. Non un piccolo salto se si pensa che la geoingegneria, la proposta di curare la malattia del clima con la forza seminando particelle di ferro negli oceani o creando schermi anti radiazioni nell’atmosfera, ha ancora sponsor, nonostante l’allarme lanciato da molti scienziati sui rischi collegati a queste ipotesi.

 

I Grandi del mondo hanno anche riconosciuto per la prima volta i risultati del recente rapporto Ipbes e Ipcc sul nesso tra biodiversità e cambiamento climatico. Sulla scorta di questa prima collaborazione tra le due autorità scientifiche internazionali, il G20 ha approvato la proposta di istituire “un workshop sulle Nature-based Solutions e sugli Ecosystem-based Approaches” per condividere esperienze, casi studio, storie di successo.

 

In pratica la proposta è ripristinare i terreni degradati, aumentare la resilienza, mitigare e adattarsi ai cambiamenti climatici adottando misure di protezione su larga scala. Ma proteggere non significa mettere la natura sotto una campana di vetro. Nel 30% di territorio che si auspica protetto è possibile piantare frutteti tradizionali, coltivare campi bio che lasciano spazio alle siepi e agli impollinatori, dare spazio all’ecoturismo.

 

Naturalmente ridisegnando su questi obiettivi la mappa degli interventi economici. “Occorre ridestinare i sussidi agricoli che hanno effetti nocivi sul clima e la biodiversità”, ha detto il direttore della Fao, Qu Dongyu, intervenendo al G2. “Dobbiamo investire in ricerca e sviluppo nel lungo termine per creare le innovazioni e le tecnologie necessarie a produrre di più generando meno emissioni e senza eccedere i limiti ambientali”.

 

Nel comunicato finale della prima giornata del G20 si ricordano infine gli altri obiettivi. Si va dal raddoppio della circolarità dei materiali entro il 2030 al rilancio della finanza sostenibile, da politiche per la valorizzazione della risorsa idrica alla lotta contro il marine litter.

 

La cornice è ampia e gli obiettivi impegnativi. Ma per ora non vincolanti.