Mariuccia Piceda è un’italiana DOC che vive a Carmelo, nella Regione di Colonia, una delle regioni più italiane dell’Uruguay. Il sessanta per cento della popolazione di Carmelo é discendente di italiani, un altro trentacinque da baschi e il resto si divide tra montenegrini, polacchi, francesi e tedeschi.

In tutta la regione di Colonia succede qualcosa di simile con un forte movimento migratorio protatonizzato da varie etnie e cittadini di decine di paesi. Iniziava nel 1840 quando in Italia scoppiava la guerra d’Indipendenza. Ma giá nel 1740, quando si fonda la capitale, c’è già l’impronta di un italiano di origine genovese. Le guerre di indipendenza e molteplici conflitti interni di tutti i paesi del mondo sono la principale causa delle ondate migratorie che hanno raggiunto l’Uruguay, poi, più lontano nel tempo è seguito dai contingenti di immigrati che arrivavano, in diverse epoche,  per “fare l’America”.

Nella zona di Colonia, come in varie zone dell’Uruguay, l'estrazione della pietra e l'industria cantieristica erano in pieno sviluppo ed è per questo che queste industrie fiorirono fino al XX secolo. Uno dei “cantieristi” si chiamava Silvio Piceda, giunto in Uruguay come specialista nell'arte della costruzione navale, secondo sua figlia, Mariuccia Piceda, che è arrivata in Uruguay quando aveva solo undici anni e la Seconda Guerra Mondiale era il motore più forte dell'immigrazione. Così Mariuccia Piceda dice “Le guerre o i disastri economici sono la causa delle migrazioni. Nessuno vuole lasciare il proprio paese, il luogo dove sei nato, dove hai i tuoi amori, le proprie radici, nessuno vuole farlo, ma, a volte, le cose cambiano. Quindi quando c'è la fame, c'è la guerra, la distruzione, allora sì, comincia l'immigrazione. Non c'è mai stata così tanta immigrazione come in questo periodo, solo che non la vediamo. Quando è stata fondata Montevideo c'era un italiano, Andreoni, genovese, viveva già a Montevideo – spiega Mariuccia. A Carmelo “l'immigrazione fu molto forte nel periodo a partire dal 1815 ma soprattutto dopo l'apertura delle cave, quando vennero molti italiani dalla provincia di Massa Carrara dove si raccoglieva il marmo e che sapevano lavorare molto bene la pietra. Hanno portato scalpellini molto esperti che sono quelli che hanno insegnato a tutti coloro che lavoravano in cava”. 

Uno dei motivi principali è stata la cava e, in realtá, la migrazione italiana a Carmelo ha una radice che spesso non è raccontata dalla storia e cioè che nessuno è venuto direttamente a Carmelo, ma è arrivato a Buenos Aires, scappando da paesi che avevano la leva obbligatoria. Poi dovevano arruolarsi e potevano essere chiamati per andare in guerra. Quindi, o si iscrivevano o diventavano disertori. Centinaia di migliaia di italiani sono arrivati a Buenos Aires, al porto de La Boca. Erano soprattutto liguri ed è per questo che nacque, appunto vicino al porto “porteño” la squadra di Calcio più importante dell’Argentina, il Boca Juniors e i loro tifosi vengono chiamati “xeneixes”. Ma gli italiani giunti qui scoprirono che c'era anche il servizio militare obbligatorio. quindi la via più vicina era quella di attraversare il fiume e andare a Carmelo, praticamente davanti a Buenos Aires. La maggior parte di connazionali con cognomi come Bianchi, Avellino o Banchero, sono arrivati con quella premessa, per non fare il servizio militare obbligatorio che si esigeva in Argentina.

“Poi dobbiamo considerare quell'emigrazione che dagli anni 1840 ai ‘60, quando iniziò la guerra di unificazione italiana. In questo momento storico l'immigrazione era di gente con denaro o molto specializzata, i Verones, i Carassales, gente che aveva soldi che mandavano ai loro bambini di lì perché non fossero coinvolti in quelle guerre”- ci dice Mariuccia.

Molti sono giunti a Carmelo per investire: “Per esempio il Teatro Uamá, che all'inizio si chiamava Olimpo, fu fatto da alcuni fratelli con il cognome Baldi, e lo gestirono. Tagliafico, che amministrava tutte le cave dell'Isla Sola, erano tutti genovesi, persone molto istruite o con molti soldi. Non erano persone con una mano dietro e l'altra davanti.” 

Poi l'immigrazione, alla fine del secolo prima della prima guerra mondiale era gente che veniva disperata a “Fare l'America”, con una mano davanti e l’altra di dietro. Arriviamo più tardi all’ultima grande ondata emigratoria, quella del 1940, nel secondo dopoguerra, quando giunsero in questa zona molti italiani specializzat in diverse discipline.

Il padre di Mariuccia era comandante di Ribera, “era lui che faceva la chiglia delle navi, è il mestiere più rispettato in campo navale, è un'arte, non un mestiere. E papà aveva inventato il sistema per montare il legno che serviva affinché, quando le barche venivano varate, con motori molto pesanti, non si smontassero. Sai che gli italiani vanno pazzi per le linee e l'estetica, hanno dovuto rinunciare alla linea a causa dei motori pesanti. Così papà e la squadra del famoso cantiere baglietto hanno realizzato un INSERT IGNOREo in legno che era millimetrico e aveva molta elasticità, e poi i tedeschi lo hanno preso come parte della loro tecnologia. Serviva loro per armare le torpediniere, affinché i loro telai non si disfacessero quando i siluri sparavano”. Racconta Mariuccia; “Quando vado nella mia città incontro persone che sono state allieve di mio padre Silvio Piceda. È venuto a lavorare alla Mdf, lì per terra ci sono tutti i fogli di come si costruisce una chiglia, tutto è disegnato per terra, tutto questo è stato fatto da mio padre”.

Ci ricalca Mariuccia che giunse in Uruguay quando aveva appena 11 anni e, al principio odiava questo paese, perché l’avevano obbligata ad andarsene dalla sua casa italiana, i compagni di scuola, ad una etá difficile:

“Mi hanno tirato fuori all'età peggiore, mi hanno tolto da una grande famiglia da parte di mamma e papà. Ho pianto qui perché non avevo la mia famiglia, i miei amici d'infanzia. Dissi che a diciotto anni, quando ero più grande, sarei tornata in Italia. Più tardi ho conosciuto Juanucho 

 Pegazzano – suo marito - e ho dimenticato tutto.” 

Con il tempo Mariuccia ha scoperto che la vita l’aveva favorita in un doppio senso, perché aveva scoperto di appartenere a due patrie, due nazioni, due cittadinanze.

Nelle sue innumerevoli visite in Italia, Mariuccia ha anche lavorato come assistente artisticha persino alla Scala di Milano, come produttrice artistica e consulente teatrale.

Ho avuto il piacere e l’onore di conoscerla. In varie occasioni ho visitato casa sua e una delle più belle e antiche Associazioni Italiane, la Societá Italiana di Carmelo, fondata nel 1871, dove Mariuccia è sempre stata grande protagonista, nonchè Presidente in varie opportunità. Una donna deliziosa, coltissima e preparata, un vero simbolo di orgoglio per ogni italiano che abita in Uruguay.

STEFANO CASINI