Prima era stato il "no" alla Tav, poi erano arrivati il celebre "uno vale uno" ed il limite invalicabile del terzo mandato parlamentare. Ora la riforma del processo penale. A voler contare i dietrofront del Movimento 5Stelle, si rischia di far notte. Perché sì, se c'è un dato che colpisce più di tutto, dell'ambaradam legato all'approvazione, in Cdm, del pacchetto Cartabia, questi è proprio la rassegnazione dei grillini nel vedersi sfilare, uno dopo l'altro, dalle mani, tutti i più celebri cavalli di battaglia della prima ora. E' successo anche due giorni fa quando l'approvazione del pacchetto Cartabia ha mandato in soffitta la "vecchia" riforma del processo penale varata dal pentastellato Bonafede quando questi era ministro della Giustizia. Eppure Giuseppe Conte ci ha provato in tutti i modi a far saltare il timing di Mario Draghi, minacciando di non votare (ipotesi astensione) il testo di legge - che pure, occorre dirlo, ha incassato buoni commenti da parte della stampa internazionale - e chiedendo altri due giorni di tempo per la mediazione, arrivando, così, al 3 agosto, giorno dell'inizio del semestre bianco. Il presidente del Consiglio, tuttavia, ha fatto la voce grossa ed ha rilanciato: "Si va in Aula con il testo Cartabia e il voto di fiducia". Morale della favola: Conte non ha avuto scelta. L'ex inquilino di palazzo Chigi ha mollato la presa "accettando" l'intesa. Punto di caduta: l'allungamento dei termini per l'improcedibilità sui reati di mafia. "Non è la nostra riforma, ma abbiamo dato il nostro contributo per migliorarla" ha commentato, visibilmente amareggiato, l'avvocato di Volturara. Il dato, tuttavia, appare chiaro: l'ex premier non è riuscito a tenere compatto il Movimento. Tre, infatti, erano le posizioni, che rischiavano di frantumare i gruppi grillini: quella di Luigi Di Maio a favore della riforma; quella dei "puri e duri" più propensi alla rottura (ed al mantenimento della “Bonafede”) ed, infine, i contiani, schierati per una mediazione al rialzo. In realtà, secondo quanto scrive Il Giornale, a spingere Conte sul sentiero della pace sarebbe stato il timore, paventato dai parlamentari vicini al ministro degli Esteri, di un ingresso in scena, a sorpresa, del garante Beppe Grillo pronto ad assumere su di lui l'iniziativa politica per indirizzare la linea sul pacchetto Cartabia. Ipotesi, questa, che avrebbe strappato dalle mani dell'ex premier la regia delle trattative. Un'insidia che ha suggerito a Conte di evitare il muro contro muro per non vedersi "depotenziato" dall'ex comico genovese. A complicare la giornata, infine, ecco arrivare l'addio al M5S della senatrice Elena Botto (andata ad iscriversi al gruppo misto). Che dire? L'esordio del "Conte leader" è di quelli da dimenticare in fretta. La parabola dei pentastellati continua.