Fino a poco tempo fa l’immaginario collettivo legava la morte e la distruzione assolute ai fotogrammi del fungo atomico conseguente allo sgancio delle bombe del 6 e del 9 agosto 1945 in Giappone: a Hiroshima e Nagasaki le vittime complessive furono 340.000 includendo le decine di migliaia di cittadini che soffrirono e morirono di tumori e altre malattie causate dall’esposizione alle radiazioni emesse dalle esplosioni. Le testimonianze dei sopravvissuti e dei primi soccorritori dipingono un quadro agghiacciante, fatto di dolore inimmaginabile.

Fino a poco tempo fa questo sembrava il male assoluto, ma oggi non è più così, perché ad esso si sovrappone una nuova minaccia invisibile eppure presente, quella del Covid-19 che, in meno di due anni, ha mietuto in tutto il mondo oltre 4 milioni di vittime. E, purtroppo, tutto lascia prevedere che questi numeri - al di là dei vaccini che per ora sono solo appannaggio dei paesi ricchi - non si fermeranno.

Un filo rosso lega queste due catastrofi umane e umanitarie: la necessità di un’azione globale per scongiurarne i pericoli. La pandemia richiede un grande sforzo collettivo e politico per un’equa distribuzione dei vaccini, tanto quanto il pieno annullamento della minaccia nucleare, tutt’oggi presente, passa per una presa di posizione forte della comunità internazionale.

Da pochi mesi è entrato in vigore, infatti, il Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW), primo strumento di diritto internazionale umanitario, giuridicamente vincolante, che si fa promemoria senza precedenti sul fatto che, nonostante e soprattutto alla luce delle tante tensioni globali, possiamo e dobbiamo sempre e comunque intervenire a difesa della vita. Importante, per il raggiungimento di questo obiettivo, il ruolo della Campagna Internazionale per abolire le armi nucleari (ICAN), che ha ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 2017 e del Movimento Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa che, da quel lontano 6 agosto 1945, è sempre stato attivo per l’eliminazione delle armi nucleari.

È un segno emblematico il fatto che questo risultato sia arrivato nel corso della pandemia di Covid-19, che ha fatto comprendere al mondo intero l’importanza delle strutture sanitarie: perché in caso di attacco nucleare nessun sistema sanitario, nessun governo e nessuna organizzazione umanitaria sarebbero in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni sanitari e di assistenza che un’esplosione nucleare innescherebbe.

La storia non smette mai di insegnarci qualcosa. Ecco perché proprio oggi, nel bel mezzo della pandemia e a 76 anni dall’ecatombe di Hiroshima e Nagasaki, è doveroso fare di tutto per annullare le ombre oscure che, ancora, incombono su tutti noi. Adesso, perciò, a ciascun Paese non aderente, compresa l’Italia, non resta che chiedersi: vogliamo che le armi nucleari siano vietate o no? Siamo pronti a intensificare i nostri sforzi per ottenere la più ampia adesione possibile e insistere su questa visione di sicurezza collettiva?

Il Trattato sulla messa al bando nucleare è l’inizio, non la fine, dei nostri sforzi. Perché, ad oggi, gli stati firmatari sono ancora troppo pochi. I nostri figli e le generazioni future non devono sostenere il peso della nostra inazione, tanto sul nucleare quanto sul Covid-19.