Gente d'Italia

Il falso “Made in Italy” invade anche l’Uruguay (FOTO)

Basta fare pochi passi dopo l'ingresso in uno dei supermercati più grandi di Montevideo per trovare bandiere italiane sparse un po' ovunque che nascondono però un'origine molto lontana dall'Italia. Si tratta di prodotti preparati interamente in Uruguay (o in Argentina) che vengono spacciati ai consumatori per italiani con una scritta o una bandiera posta in bella vista che conferisce sempre un tocco speciale ed è un sinonimo di qualità riconosciuto in tutto il mondo.

C'è la mozzarella elaborata da Ciro (che di cognome fa Rodriguez), il parmesano, la pizza Don Carlos, la passata di pomodoro, il marsala, il gelato e poi ancora prosciutto, salame, mortadella e chi più ne ha più ne metta. Alcune aziende usano tecniche di marketing molto più raffinate mischiando i colori delle loro pubblicità in modo da incrociare (guarda caso) il verde, il bianco e il rosso. È il caso di Arcor che fa una miriade di cose ma usa il tricolore solo nelle salse, oppure La Especialista e Avanti con i loro impasti, paste sfoglie e salse. Molto ricorrenti sono i nomi legati a un luogo come i familiari "napolitana" e "bolognesa" ma anche la più generica "linea italiana". È davvero difficile orientarsi in questa giungla di prodotti anche se si intuisce facilmente che in alcune aree come formaggi, salumi e salse di pomodoro c'è una vera e propria apoteosi di italianità taroccata.

Il viaggio alla ricerca del Bel paese che non c'è inizia inevitabilmente con i formaggi. Il protagonista assoluto è l'onnipresente parmesano, parola usata e abusata da oltre una decina di imprese che lo vendono in ogni forma possibile e immaginabile: intero, grattugiato, grattugiato fino, spalmabile e speziato. Conaprole, l'azienda di prodotti lattiero-caseari più grande del paese, non si fa mancare niente. La sua offerta prevede: Parmiggiano (a volte nel dubbio si aggiunge una doppia, in questo caso una g), reggianito, provolone, fontina, mozzarella, ricotta, cuartirolo (da notare la c iniziale che sostituisce la q). A differenza di Conaprole, Cerro Negro usa la bandiera italiana per vendere il suo caciocavallo e soprattutto il "queso mozzarella tipo italiano" che almeno all'apparenza ha la sembianze di una mozzarella vera e propria a differenza di tutte le altre. Nella lista dei formaggi taroccati si inseriscono pure Calcar e Maia con, rispettivamente, il cuartirolo e il queso mozzarella.

Dai formaggi ai salumi il passo è breve, anzi brevissimo. In prima fila c'è Sarubbi, un gigante del settore, con il suo tricolore vicino al logo che fa da presentazione al jamón (prosciutto) "Gran Parma" e a quello "Gran Verona", al salame "Milano", alla mortadela (con una l) "Suprema Bologna" e alla longaniza (salsiccia) Toscana. Anche Cattivelli gli corre dietro usando il tricolore per ricoprire il suo Salamin "tipo Italiano".

L'Italia abbonda anche nelle salse dove tra "napolitana" e "bolognesa" c'è spazio anche PER un tricolore camuffato. Va molto forte la salsa de tomate "tipo italiana" che viene offerta da Deambrosi, Rigby, Potevedra e Arcor. L'etichettatura "tipo italiano" arriva fino ai grissini come quelli elaborati dall'azienda Mia con il formaggio e finisce per affogare nei gelati della "linea italiana" di Cruffi. Al banco dei surgelati un atroce dubbio esplode: ma poi cosa vuol dire esattamente tipo italiano? Mistero. Tra i surgelati, dulcis in fundo, c'è un po' nascosta l'immancabile pizza "a la piedra con mozzarella" di Conaprole con la bandiera italiana. 

falsi prodotti italiani incontrati al supermercato potrebbero finire qui ma l'elenco è sicuramente molto più numeroso. Alla fine di questo percorso accattivante si ha la sensazione di essere sospesi in un limbo senza via d'uscita. La questione è complessa e non può ridursi soltanto all'origine geografica: in un paese come l'Uruguay dove quasi la metà della popolazione ha origini italiane, è normale che ci siano preparazioni "miste" frutto di tradizioni tramandate all'interno di famiglie emigrate nel secolo scorso che si sono poi mischiate con la realtà locale. Davvero si può pensare di proibire l'uso dei riferimenti all'Italia in questi prodotti? Davvero si può pensare di cancellare una parte della storia di queste famiglie? Esistono altri modi, invece, per tutelare i produttori italiani che sono giustamente molto arrabbiati? Per qualcuno (pochi a dire il vero) la speranza era rappresentata dall'accordo di libero scambio tra l'Unione Europea e il Mercosur che però è stato messo in pausa e non si sa che fine farà.

Secondo i calcoli della Coldiretti il falso made in Italy nel mondo ha raggiunto un giro d'affari che si aggira ogni anno sui 34 miliardi di euro. Per Filiera Italia invece il danno per le imprese è di oltre 100 miliardi di euro all'anno. Al di là dei numeri esatti che non sapremo mai ciò che è certo è che si tratta di una cifra mostruosa. Il falso agroalimentare italiano nel mondo va alla grande e basta pensare che oggi i prodotti taroccati fatturano annualmente il doppio (o addirittura il triplo) di quelli veri.

Proprio pochi giorni fa ha fatto scalpore una notizia arrivata dal Cile dove la lobby dell'industria statunitense ha chiesto di registrare i marchi "Asiago", "Parmesan" e "Bologna". "Non è solo la contraffazione più o meno pacchiana. Ora si punta al riconoscimento ufficiale del nome che sa di italiano" ha commentato la Coldiretti nel suo ennesimo avvertimento rimasto lettera morta. Ma indipendentemente dai marchi registrati in questo supermercato di Montevideo il riconoscimento è già avvenuto: tutto si perde nella falsa Italia che ha invaso l'Uruguay.

Matteo Forciniti

 

 

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