Gente d'Italia

Padri e figli

Questi primi timidissimi accenni di nuvole pomeridiane, tanto desiderati a ferragosto, preannunciano una imminente realtà: il ritorno in città dei vacanzieri findomestic, quelli che abbronziamoci e abbuffiamoci di melone rosso come se non ci fosse un domani, quelli che il Covid è soltanto un ricordo, la terza dose di vaccino quando mai, le fabbriche chiudono ma mica lavoriamo alla Whirlpool.

Il cielo ogni tanto comincia a incupirsi e avrà i suoi buoni motivi. In lontananza l'autunno iniziano a portare un odore di zuppa di soffritto. Ma più che un odore è un'essenza che sa di malinconia e di campionato di calcio che sta per ricominciare, di figli che guardano al futuro con perplessità e sfiducia e contestano ai padri di averli messi al mondo in questo millennio che non è più quello del mutuo prima casa, elettrodomestici a volontà, fuoristrada quattro per quattro, la pensione a sessant'anni e doppia attività in nero. E il lavoro per questi nostri figli con laurea specialistica è un miraggio e servire spritz e prosecco ai tavoli diventa un'intrigante possibilità per racimolare qualche soldo.

E i padri con i sensi di colpa ripensano ai pomeriggi della propria giovinezza spensierata quando metter su famiglia era un'ipotesi lontana ma non un'angoscia. E riappare un pomeriggio d'estate di mille anni fa, e lo spirito che non è più guerriero va a quel borsone di plastica sdrucito che fu riempito come capitava perché non sapevi cosa metterci dentro, perchè non sapevi di cosa avresti avuto bisogno, perchè dove andavi sarebbero bastati i tuoi vent'anni, i tuoi ormoni, il tuo costume nero, una polo blu e una maglietta grigia, un unico paio di jeans e gli occhiali da sole, i capelli lunghi e un pullover per certe serate d'agosto che poi può succedere che rinfresca, uno spazzolino con un fondo di dentifricio preso da casa all'ultimo istante, un paio di mocassini beige multiuso da mettere in spiaggia oppure di sera quando andavi a caccia di emozioni e dovevi fare il disinvolto, e lì sul posto eventualmente poi avresti comprato gli infradito neri, le mutande perchè le mutande occorrono sempre, un paio di romanzi intellettuali perchè era bene far vedere che li hai letti e li lasci con disinvoltura tra i cuscini, quelle bretelle blu che facevano tanto esistenzialista e che ogni sera lei ti avrebbe tirato fino a quando tu non gliele avresti poi regalate una notte che giocavate a fare gli innamorati e le chiedesti ma in città c'è qualcuno che ti aspetta e lei ti rispose chi aspetta te piuttosto, ma tu non ricordavi neanche da quale città stavi fuggendo, e poi c'era quella che aveva sedici anni e piedi smaltati di donna matura e progetti disperati di bambina sognante, e pomeriggi silenziosi trascorsi ad osservare la costa e il paesino di fronte e quel mondo al di là delle case abbrustolite dal sole, il maestrale che fece volare il cappellino di paglia a quella milanese che ora non ricordi più neanche il nome e che ti chiese che lavoro fai e tu con naturalezza rispondesti forse stasera piove, quella traversata posto ponte senza una lira in tasca dormendo sul borsone sdrucito, il caffè sulla Tirrenia alle sei del mattino che ti sembrò un miraggio e un marinaio barman che sembrava ancora dormisse, l'altoparlante che ti ricordava di non dimenticare il borsone sdrucito, l'arrivo sull'isola e avresti voluto gridare al mondo adesso sì che vi mangio tutti. Perché non conoscevamo il nostro futuro, ma lo intuivamo che era da qualche parte e ci stava aspettando. E oggi i nostri figli spaventati dal futuro ci chiedono Perchè mi hai fatto nascere in questo mondo?

DALLA REDAZIONE

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