di Ugo Magri

Con la stessa tenacia di Willy il Coyote, che inseguiva Beep Beep tra gli strapiombi della Monument Valley, Salvini dà una caccia spericolata alla ministra Lamorgese. E proprio come l'adorabile cartone di Looney Tunes, che sfoggiava razzi, bombe, molle, collanti a presa rapida e gigantesche fionde, il Capitano ha messo in campo un arsenale di prim'ordine: interviste, dichiarazioni, lettere ai quotidiani, post su Facebook, soprattutto tweet dove almeno una volta al giorno intima alla titolare dell'Interno di dare le dimissioni. Ma al pari di Willy, pure Matteo rischia un effetto boomerang. Perché nonostante i tentativi di sbarazzarsene, la ministra rimarrà salda al Viminale. L'unico modo per congedarla sarebbe far cadere il governo, ma ne mancano i presupposti. Cosicché è facile la previsione: l'unica beneficiaria di questa campagna sarà Giorgia Meloni che, trovandosi all'opposizione, certe remore non le ha.

Intendiamoci, gli sbarchi non sono una fantasia. Quest'anno se ne sono già contati 35mila, il triplo dell'era Salvini perché alla Libia si è aggiunta la Tunisia da dove partono indisturbate flotte di barchini nonostante i nove pellegrinaggi di Lamorgese dal presidente Saied. Quando i migranti approdano sulle nostre coste che fai, li mitragli? Nessuno in Italia arriverebbe a tanto. Secondo Matteo, la ministra dovrebbe bloccare i porti come faceva lui prima di finire a processo (inizierà il 15 settembre a Palermo). Però di tutto Lamorgese può essere accusata, tranne che di favorire le varie "Sea Watch". Che aspettano settimane in mare prima di accedere ai porti; si vedono frapporre ostacoli con la scusa del Covid; vengono fermate per mesi con pretesti burocratici a volte grotteschi tipo "si riscontra la mancanza a bordo di salvagenti in numero sufficiente", oppure "è scaduto il bollino della revisione". Prima si cambia l'olio, poi si salvano le vite in mare.

Le ONG sono critiche con Lamorgese, perciò Salvini dovrebbe apprezzarla. Invece lui la considera debole, inetta, da licenziare in tronco. La "mostrifica" agli occhi dell'elettorato di destra (che allegramente ci casca) quasi quanto la malcapitata Elsa Fornero ai tempi del governo Monti, stessa tecnica stesso livore, stavolta facendo passare l'ex prefetto della Repubblica per una Carola Rackete. O come una fricchettona per via del rave party a Viterbo su cui Matteo potrebbe chiedere notizie al sottosegretario leghista Nicola Molteni, che ha in capo la delega della pubblica sicurezza.

Le dimissioni di Durigon non c'entrano nulla con la guerra a Luciana, semmai c'entrano le Comunali. Tra un mese si vota e a Salvini farebbe comodo rispolverare l'immigrazione; ma la ministra gli rema contro. Anziché agitare il drappo rosso, lavora silente a sgonfiare il problema; invece di appiccare l'incendio, tronca e sopisce; quel che è peggio, Lamorgese testimonia ai giudici di Palermo che c'è modo e modo di fronteggiare gli sbarchi, uno particolarmente truce l'altro un po' più civile.

Salvini chiede un confronto a tre con Draghi per rimetterla in riga; ma è proprio qui che nasce il problema. Perché un ministro, specie se dell'Interno, non agisce di testa sua. Si rapporta più in alto, figurarsi Lamorgese per come è fatta. Appena spunta una nave, corre a informare il premier; sul da farsi decidono insieme. Attaccando la ministra, Salvini mette nel mirino il capo del governo che a sua volta, poveruomo, non potrebbe regolarsi diversamente. Guida un caravanserraglio dove oltre a Salvini c'è Letta; dove fianco a fianco coesistono Conte e Renzi, Forza Italia e Leu. Sostituire Lamorgese sarebbe fatica inutile, tempo perso: al posto di lei dovrebbero mettere una copia conforme, il suo clone in 3D. Per cambiare registro ci vorrebbe un governo diverso. O si dovrebbe tornare a votare. L'astuta Meloni l'ha capito al volo, presentando una mozione di sfiducia contro la ministra che, per arrivare in aula, dovrebbe raccogliere 62 firme alla Camera, 32 al Senato: troppe per i Fratelli d'Italia. Ci vorrebbe un soccorso leghista. Ma se la Lega firmasse, il governo cadrebbe in un amen. E senza Draghi al comando scoppierebbe un immenso casino. Anche se volesse, Salvini non può.

Oltre un certo limite non gli è permesso osare, diversamente dalla Meloni che va sempre dritta al bersaglio. Lui scuote l'albero, lei raccoglie le mele. Più Matteo insiste a cacciare Beep Beep-Lamorgese, più fa il gioco di Giorgia che lo metterà alla prova sulla raccolta di firme e, quando lui dovrà tirarsi indietro, avrà facile gioco a rinfacciargli la retromarcia. Chi vuol bene al Capitano glielo dica in tempo: sta mettendo in piedi un marchingegno che alla fine gli si ritorcerà contro. Un'auto-trappola, come Willy il Coyote.