di Donatella Papi

Dicono che basti una storia per raccontare un'epoca. La triste vicenda di Zaki Anwari, calciatore diciannovenne e promessa dell'Under 21 afghana, è l'icona struggente della tragedia dell'Occidente e degli esportatori di democrazia. Se cercate sul web la fotografia di Zaki, vi troverete di fronte l'immagine di un ragazzino col broncio, lo sguardo da ometto, gli occhi profondi ma inclinati, la testa alta ma le spalle ancora strette. E con un'espressione che pare dire: "Vado e vinco".

Zaki Anwari era uno studente brillante e una stella nascente del calcio locale, giocava con la maglia numero 10. Quando ha sentito che i talebaniavrebbero ripreso il controllo del Paese, iniziando da Kabul, è stato uno tra le migliaia di giovani, uomini, ma anche donne con bambini, che sono corsi disperati all'aeroporto di Hamid Karzai nella speranza di prendere un volo. E lui, col fiato da atleta, avrà corso più di altri. Con agilità sarà riuscito a scavalcare ostacoli, a dribblare blocchi, a superare tante gambe fino a che, come davanti alla porta per il gran tiro, si è trovato sulla pista dove un C-17 dell'United States Air Force era in procinto di rullare.

Gli saranno sembrate le ali. Perché Zaki, non si sa come, è riuscito a salire sopra le ruote del carrello. Avrà fatto leva sulle braccia, scalciando coi piedi, poi si sarà tirato su, felice. Si sarà passato una mano sulla bocca, che quasi schiumava per la fatica, e l'altra sulla fronte bagnata. Si sarà voltato indietro, avrà guardato giù e avrà cominciato ad aiutare altri, che sgambettavano nel vuoto. "Ci siamo, via!". Il bolide di ferro grigio, rombando in modo infernale, avrà cominciato ad avanzare, da piano a sempre più veloce. L'aria avrà cominciato come a brillare, a scuotere tutto, a entrare nella carne, "ma Zaki è forte" avrà pensato lui. Avrà stretto con tutta la resistenza fino a che il vento, come una magia nera, lo avrà avvolto nel suo lugubre mantello di ombra. E Zawi Anwari lo hanno visto in tutto il mondo: era una di quelle figurine che, come i pupazzetti dei bambini ritagliati sulla carta, è venuto giù, dondolando nell'aria e poi a picco.

Come ha potuto pensare di scappare dall'Afghanistan aggrappato al carrello di un aereo militare Usa? Aveva 19 anni, stava con altri più grandi di lui, che avranno urlato frasi del loro Corano, probabilmente morti schiacciati. Come hanno potuto fare quello che hanno fatto? Sta tutta qui la tragedia di Joe Biden, della sua Amministrazione, di quella parte dell'umanità che collocandosi in un'area politica che si definisce democratica, progressistaantifascistaanti-conservatriceanti-cristiana dogmaticafluidaemancipatasessistaanti-razzista, da anni impazza nel mondo e in casa propria per imporre la "liberazione".

E più il progetto fallisce più s'allarga l'area. Si potrà obiettare che ciò accade in tutte le rivoluzioni e anche nei martirii, ma c'è una differenza enorme rispetto a tutte le altre ideologie anche religiose. Quelle musulmane promettono piaceri paradisiaci, quella cristiana la conquista del Regno, ma questa compagine crea illusioni terrestri ritagliate su affari e piaceri, sogni da influencer, dove tutto è prodotto, potere e libertinaggio.

La fine di Zaki Anwari non è diversa dalla fine, per esempio, del povero Willy Monteiro Duarte, diciannovenne anche lui, capoverdiano, finito con una violenza da spaccargli il cuore, a Colleferro, studente e cuoco con lo stesso miraggio di diventare calciatore. E come Saman, la ragazza pakistana che per la libertà di amare ed emanciparsi è stata forse uccisa in una narrazione che ne esalta i modi turpi, senza un velo di rimorso, come trofei. È la "resilienza", anche questa imposta come protocollo. Cioè non cambiare, non piegarsi, tornare uguali. Non sono forse così queste mentalità gelide e inalterabili? Non mea culpa strazianti, aperture sorprendenti, miracolose illuminazioni, ripensamenti.

Ecco maturare altre teorie, secondo me strampalate, che usano terminologie laser: nuove geo-politiche, nuovi assetti fondati su tramonti occidentali per nuove ere dell'universalismo. Altri teoremi, che dilagano il caos e lo sconquasso di masse e di profughi, a cui non diamo né libertà né futuro, ma spesso nuove schiavitù, finendo per favorire i grandi circuiti criminali mondiali. Roberto Benigni, l'attore che ha descritto l'Olocausto ne "La vita è bella", ha detto dei profughi afghani "io sono loro, io sono quel bambino, tutte le facce del Cristo", stringendo in mano l'ennesimo premio.

Le loro biografie grondano premi e riconoscimenti. Ma come si fa in un frangente simile? E poi, i volti di Cristo chi, quello degli errori, delle presunzioni, delle ragioni assolute? Sono anni che prendo posizione contro una presunta emancipazione che tiene conto solo delle culture sessiste. Sono anni che anche nei confronti del nostro femminismo faccio notare la quantità di vittime. La rivoluzione non è solo la nostra rivoluzione, il sesso e il maschio. L'amore per gli altri è anche quello di "Viaggio a Kandahar", di Nafas che scende dentro i burqa per salvare la sorella: non si strappa una civiltà e non si impone la propria democrazia e la bellezza è anche quella terra, quella polvere, quel vento, quelle musiche, riti e tradizioni.

I diritti non sono ovunque le nostre presunte libertà. E poi quali libertà, la civiltà trans? Tutto il genere umano è in cammino nell'evoluzione, ciascuno dal suo lato del cuore e della terra. E in Italia le cose non vanno così bene se una ragazza è stata presa per i capelli dal fidanzato e raggiunta in volto con sette proiettili davanti a un gruppo di amici. O se nel casertano due ragazzi si sono accoltellati a morte per uno sguardo di troppo. E chiamiamo tutti qui promettendo diritti e sicurezze che non ci sono?

Resta quella figuretta di 19 anni venuta giù, li chiamano i "falling men", i fagotti in caduta libera. Non possiamo non dire nulla a quella madre. Le direi, io c'ero. Venivo giù anche io, cadevano le mie convinzioni, la mia presunta ragione e superiorità civile, io donna sbagliata del Sessantotto. C'è una canzone dei miei anni che lo spiegava già: "Sole sul tetto dei palazzi in costruzione, sole che batte sul campo di pallone e terra e polvere che tira vento". Zaki sembrava un uomo, con le scarpette di gomma dura, ma il cuore era pieno di paura. Però, vedi madre, noi abbiamo il compito di rimettere in volo i sogni e le anime e "un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo, dalla fantasia". Zaki ne ha avuta da campione. Adesso tirerà il calcio di rigore. Nessuna libertà, nessun diritto, nessuna emancipazione giustifica una morte così.