di Franco Esposito

Assurdo e squattrinato, alla canna del gas, il calcio in Italia ha bruciato 370 milioni di euro. In quanto tempo si è ingozzato del deficit? In una sola stagione e punto, quella 2019-2020. Il sistema calcio ha perso 829 milioni, più del doppio della stagione precedente. Numeri non presunti, buttati lì per fare colpo, proprio mentre la strepitosa nazionale con Roberto Mancini alla cloche torna in campo per la prosecuzione delle eliminatorie ai Mondiale del Qatar. Negativi, neri, nerissimi, i numeri dell'avvilimento sono presenti nel report della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Ogni anno la Figc pubblica la nuova versione e ogni anno i dati peggiorano. 

Chiariamo subito: la colpa non è solo del Covid. La pandemia ha semplicemente allargato, dilatato  la forbice tra costi e ricavi. In Italia il pallone è un'industria che spende 4,2 miliardi l'anno; ne icassa 3,5. A queste condizioni, visto che questa è la vera verità dei fatti e dei numeri, nessuna azienda calcistica può restare in piedi. Come dire, sotto il vestito niente. Proprio niente, solo 829 milioni persi, a fronte del trionfo della nazionale fresca e applaudita campione d'Europa. La gioia di tutti etichettata anche come riscatto italiano. Il sogno di mezza estate. 

In una sola stagione, sul piano del lavoro, il calcio italiano ha bruciato 24mila posti. Li ha mandati letteralmente al macero. Molti club club sono andati gambe all'aria. Smantellata l'Inter, costretta a vendere Lukaku e Hakimi. La Juventus obbligata regalare Cristiano Ronaldo, pur di liberarsi dello stipendio del portoghese, parente prossimo a 40 milioni di euro netti all'anno. Mai così povera la serie A, praticamente denudata. Ha perso calciatori di primo livello, emigrati verso lidi più ricchi, Inghilterra e Francia. Oltre 35mila ragazzini hanno smesso di giocare a pallone. Il fenomeno in chiave negativa ha provocato il taglio sopra evidenziato di persone, non calciatori, che il lavoro lo hanno perso. 

"Il Covid sta uccidendo il pallone", è il grido disperato dei padroni dei club, impegnati da mesi a battere cassa col governo. Cascano male, stavolta l'hanno pestata davvero. Lo Stato non pagherà i loro errori, quasi tutti precedenti alla pandemia. Nondimeno l'effetto del virus ha causato conseguenze devastanti. L'edizione 2021 del report della Figc è la fotografia della stagione 2019-2020. La prima colpita dalla pandemia, con il lockdown da marzo a maggio, lo stop ai campionati, poi la ripresa in piena estate. Il calcio italiano ne è uscito stravolto. 

Movimento di per sé già pasticcione e decadente, il pallone italico tirava a campare tra trucchetti e difficoltà. Ora è prossimo al fallimento. Il calciomercato più misero di sempre, terminato il 31 agosto, ha consegnato agli appassionati del pallone un campionato indubbiamente impoverito. I primi cinque top club – Juventus, Inter, Milan, Atalanta, Napoli – da soli hanno bruciato 370 milioni di euro. Normale che ora abbiamo pensieri negativi. Siamo allo sbaracco. 

Costi e ricavi, negli anni precedenti, erano stati due rette parallele che correvano vicine, ma con un costante evidente sbilanciamento nei confronti delle uscite. Il debito continuava a crescere, con l'illusione però di poterlo colmare, prima o poi. L'illusione è morta. 

Le colpe, ovviamente, non vanno attribuite in esclusiva al Covid. Come è dimostrato dal fatto che la chiusura degli stadi (i patron non smettono di strapparsi le vesti, invocando invano ristori dal governo) ha inciso per soli 60 milioni di euro. La B e la C non stanno meglio della serie A, che nuota beata da anni nei suoi antichi vizi. Vecchie e fatiscenti le infrastrutture, gli investimenti fermi al palo. Laddove nel resto d'Europa, non solo nella ricca Inghilterra, si continua a costruire. In Russia e Polonia inaugurti trentanove nuovi impianti . 

I bilanci dei club di serie A sono squilibrati, appiattiti sui diritti tv, pari al 34%. L'unica entrata che i presidenti proprietari riescono ad incassare facilmente. Latitano invece i ricavi commerciali, l'appeal di una squadra e di un torneo vale solo il 17%. Le spese, incredibilmente, continuano ad aumentare. In particolare quelle degli stipendi ai calciatori. Vige tuttora e impera la regola dei super ingaggi. Un miliardo e 600 milioni ogni anno solo per pagare i giocatori. 

Questo autentico scandalo ha indotto il presidente federale Gravina a introdurre il divieto di spendere più dell'anno precedente. Una misura che non guarisce il calcio, ma gli impedirà di suicidarsi alla svelta. Le plusvalenze non bastano più. Ha smesso di funzionare alla grande il trucchetto contabile abusato da tutte le società. Rappresentavano, le plusvalenze, il 24% dei ricavi dei club, un totale di 738 milioni farlocchi. La maggior parte di queste operazioni non ha dentro denaro vero alla base. Proprio in virtù di questi mezzucci, i debiti dei club avevano sfondato la quota record di 4 miliardi, già prima dell'epidemia. 

In serie A qualcuno disposto a ripianare i buchi si è sempre trovato finora. É la ragione per cui club tecnicamente falliti continuano ad andare avanti. Il prezzo più alto lo hanno pagato i più deboli. I dilettanti, i settori giovanili. Serie A e Champions si sono concluse regolarmente, nonostante il lockdown. Nei campionati cosiddetti minori non si sono giocate 47.825 partite. Cancellate. I tesserati superavano quota un milione, oggi sono 800mila. Assistiamo alla sparizione di 245mila calciatori. Significa che a causa del Covid tanti ragazzi hanno smesso di giocare a pallone. Così come gli stadi chiusi hanno lasciato a casa 4 milioni di tifosi. Il settore produceva un indotto di 10 miliardi, lo 0,5% del Pil, oggi è fermo a 8,5 miliardi. Il crollo del grande baraccone. 

Una grande industria si è fermata, e con essa una parte d'Italia.