Per molti anni uno degli elementi che caratterizzava le competizioni elettorali nel nostro Paese era rappresentato dal cosiddetto “voto cattolico”. Ovvero, cosa voteranno i cattolici nelle singole competizioni elettorali? E non c’era differenza alcuna, al riguardo, tra il voto locale il voto nazionale.

Ora, com’è evidente a tutti, il contesto politico, sociale e culturale è profondamente cambiato e il voto cattolico compatto e granitico praticamente non c’è più. O meglio, non è più una scelta identificabile con un singolo partito o con uno schieramento definito. E questo per la semplice ragione che il pluralismo delle opzioni politiche è ormai un fatto profondamente radicato nella vasta, articolata e composita area cattolica italiana.

Ma, nell’immediato, è curioso interrogarsi su come si orienterà il voto dei cattolici nelle prossime competizioni amministrative. Anche perché ci sono dei test politici importanti e significativi per l’intero scenario nazionale. A partire da alcune grandi città dove il risultato è tuttora incerto - penso in particolare a Roma e a Torino - ma, comunque sia, il tema continua ad interessare e forse anche ad incuriosire l’intero scenario politico nazionale.

Ora, per evitare equivoci e inutili e sterili discussioni, ci sono almeno tre elementi che non possiamo non sottolineare quando si parla, ancora e anche un po’ tardivamente, di “voto cattolico”.

Innanzitutto, il pluralismo politico dei cattolici, come dicevamo, è un dato largamente e storicamente acquisito. Nessuna rappresentanza esclusiva è più possibile. Nessuno, cioè, può rivendicare di rappresentare in modo coerente e diretto il cosiddetto “voto cattolico”.

Certo, noi sappiamo da ricerche specialistiche e demoscopiche, che il voto cattolico veleggia più verso il centro destra quando si parla del “popolo dei praticanti” e di frequentatori anche solo saltuari della messa domenicale mentre coltiva maggiori simpatie per lo schieramento della sinistra quando affonda le sue radici nel mondo dell’associazionismo cattolico organizzato, giovanile e non solo. Ma sono e restano, queste, classificazioni un po’ astratte e anche virtuali che vanno sempre lette ed interpretate con serietà, oggettività e trasparenza. Cioè senza partigianeria e settarismi vari. Comunque sia, si tratta anche in questo caso di uno spiccato pluralismo delle singole opzioni politiche.

In secondo luogo non ci sono più i rappresentanti politici “ufficiali” del cosiddetto mondo cattolico. Un tempo, in condizioni diverse e in un contesto molto più semplificato, Carlo Donat-Cattin parlava di “cattolici professionisti” mentre Mino Martinazzoli li definiva, ancor più sarcasticamente, “sepolcri imbiancati”. Ecco, oggi nessuno può più ergersi ad essere l’interlocutore privilegiato se non addirittura esclusivo di alcuni settori del mondo cattolico.

Certo, ci sono candidati e personalità politiche che continuano ad essere maggiormente interpreti di quella sensibilità culturale e delle istanze che provengono da quei mondi vitali. Ma sono il frutto di esperienze del passato che ancora si trascinano nel nuovo contesto culturale, sociale e politico. E che prescindono, di norma, dalle stesse formazioni politiche contemporanee. Si tratta, cioè, di esponenti politici che storicamente hanno sempre mantenuto e coltivato rapporti con pezzi dell’area cattolica italiana e in virtù di questo collegamento continuano ad essere punti di riferimento politico e anche istituzionale.

In ultimo, questa situazione concreta che si vive in tutte le grandi città italiane che andranno al voto amministrativo, al di là delle singole specificità e caratteristiche, evidenzia ancora di più la oggettiva impossibilità di dar vita a formazioni politiche cattoliche o di ispirazione cristiana. Certo, per tutti quelli - come me e come migliaia di altre persone disseminate in tutta la penisola italiana - che hanno vissuto da protagonisti o meno quelle storiche esperienze, dalla Dc al Ppi ad altre formazioni politiche, è del tutto ovvio che si continua a coltivare una grande simpatia per quei partiti e per quelle stagioni politiche.

Ma sono proprio le tendenze e le costanti politiche e sociali contemporanee a dirci che quelle esperienze, seppur rinnovate e modernizzate, non sono più riproponibili. O meglio, lo sono solo se accettano di ridursi a giocare un ruolo puramente ed esclusivamente testimoniale. Com’è accaduto in questi lunghi venti anni nella concreta dialettica politica italiana. Partiti e movimenti che possono, anzi debbono, continuare a rifarsi all’ispirazione cristiana in politica e alla tradizione del cattolicesimo democratico, sociale e popolare ma che, al contempo, non possono riproporre meccanicamente le esperienze organizzative del passato.

Ecco perché, alla vigilia di una interessante e decisiva campagna elettorale per il rinnovo di molte grandi amministrazioni locali del nostro paese, è bene essere chiari su cosa significa oggi, e non ieri, il cosiddetto “voto cattolico”. Un voto che non esiste più nella sua compattezza politica ed organizzativa ma che continua ad essere, tuttavia, un elemento importante e una costante storica che nel nostro sistema politico, sociale e culturale ha sempre avuto un peso e una reale incidenza. Anche solo di orientamento e di opinione.

GIORGIO MERLO