Di RENATO SILVESTRE
 
In principio fu il principe di Sirignano, Giuseppe Caravita. Padre del più famoso Pupetto di Sirignano (uno dei personaggi più stravaganti della Napoli del 900: si proclamava discendente diretto di San Gennaro e fu l'ultimo grande protagonista della dolce vita caprese) anche Giuseppe Caravita era una personalità fuori dal comune. Gaudente mecenate, uomo di charme, amava circondarsi di artisti. Così non dovette stupirsi più di tanto quando un gruppo di pittori, capitanati dal vulcanico Edoardo Dalbono, gli chiese di diventare il presidente della neonata «Società Napoletana degli Artisti», che proprio in quei giorni cominciava a riunirsi (in casa Dalbono, a Monteoliveto) per dare sostegno all'arte napoletana. Era il 22 dicembre 1888 e cominciava una storia che sarebbe durata oltre 130 anni e dura ancora oggi. Una bellissima storia di arte e cultura ambientata nello storico palazzo del cardinale Zapata, in piazza Trieste e Trento.
Il principe di Sirignano non si fece pregare. Non solo appoggiò l'iniziativa, assumendone la guida, ma offrì anche a quel gruppo di artisti, nella Napoli bohémienne di fine 800, ospitalità nella sua casa al rione Sirignano. Nacque così, nello splendido edificio affacciato sulla Riviera di Chiaia, il Circolo Artistico Politecnico.
Oggi l'istituzione culturale, che ha sede a Palazzo Zapata in piazza Trieste e Trento, è lo scrigno di una magnifica collezione, composta da 520 dipinti, 80 sculture, 5500 fotografie, 4700 volumi, e ancora strumenti musicali e arredi d'epoca. Dipinti e sculture portano la firma di artisti che furono soci del Circolo, come Morelli, Dalbono, Migliaro, Volpe, Caprile, de Sanctis, Monteforte e tanti altri che furono presenti soltanto sporadicamente nella sede di piazza Trieste e Trento. Ma il Circolo è stato frequentato anche da scrittori, poeti, musicisti, compositori, e inoltre da uomini politici, ingegneri, giuristi, come testimoniano i materiali d'archivio.
Immergersi nelle sale del museo di piazza Trieste e Trento equivale a tuffarsi in un «luogo della memoria». Tra gli stucchi e i lampadari di cristallo è possibile ancora sentire l'eco delle discussioni che animavano le sale. Ecco le voci di Edoardo Dalbono e Domenico Morelli, grandi pittori di fine 800, sempre pronti a sfidarsi all'ultima tela. Ecco i volti affilati di Raffaele Viviani ed Eduardo De Filippo, che meditavano sui loro capolavori. Ed ecco risuonare le note di Giacomo Puccini e Francesco Cilea, che frequentarono questi ambienti. Insomma un teatro della memoria viva, una splendida casa-museo dove risuonano i passi dei più grandi talenti della città, uomini e donne che «vissero d'arte», come gli eroi pucciniani, ma anche di politica, di giornalismo e grandi passioni civili.
Nata, nella Napoli della Bella Époque, come cenacolo di pittori - da Federico Cortese ad Antonio Mancini, da Vincenzo Montefusco ad Ernesto Tommasi, da Francesco Netti a Vincenzo Volpe - la Società Napoletana degli Artisti si allargò presto a letterati e giornalisti come Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, fondatori de Il Mattino, ma anche Roberto Bracco e Libero Bovio, Salvatore Di Giacomo e altri protagonisti dell'epoca d'oro della canzone napoletana.
Nei primi anni del 900 le fusioni con il Circolo Forense Partenopeo di Enrico Pessina e il Circolo Politecnico di Udalrigo Masoni portarono al cambio di nome (Circolo Artistico Politecnico) e al trasferimento della sede nell'attuale appartamento al secondo piano del seicentesco Palazzo Zapata, in piazza Trieste e Trento, già foresteria del Palazzo Reale e residenza del cardinale Zapata, che fu viceré di Napoli. L'appartamento fu acquistato nel 1922 sotto la presidenza di Luigi Maria Foschini. Genius loci di Palazzo Zapata è, praticamente da sempre, Adriano Gaito, già dirigente del Banco di Napoli, appassionato di sport e presidente, ormai ventennale, del sodalizio. È stato lui a risollevare le sorti dell'antica associazione e darle la nuova e più moderna forma giuridica di Fondazione.
Scrigno di memorie, ma tutt'altro che impolverate. Nei suoi 133 anni di storia il Circolo Artistico Politecnico ha provato sempre a tener fede alla missione dei soci fondatori, ovvero promuovere e diffondere il progresso delle arti napoletane. Custode delle memorie legate alla produzione artistica e letteraria del 900, il sodalizio di Palazzo Zapata è sempre stato qualcosa in più di un semplice luogo d'incontro per artisti, intellettuali e uomini di cultura. Basti pensare al ruolo svolto dal Comitato d'Arte del Circolo, presieduto (tra gli altri) dallo scultore Francesco Jerace e dal pittore Vincenzo Volpe. Due battaglie, più di tutte, infiammarono l'opinione pubblica: quella per evitare che il monastero di Santa Chiara venisse trasformato in un complesso scolastico e quella per scongiurare la distruzione del bosco storico di Villa Lucia.
V'era all'interno del Circolo, nei primi decenni del 900, un gruppo ristretto, un cenacolo di artisti amanti delle burle, della buona tavola e delle oziose divagazioni artistiche e letterarie, in ossequio alla più famosa Accademia degli Oziosi frequentata nel 600 dai nostri mitici tre Giambattista: il Marino, il Della Porta e il Basile. Insomma una pattuglia di buontemponi che si facevano chiamare «farmacisti» perché trascorrevano molto del loro tempo in conversazioni amichevoli, simili a quelle che si svolgevano, un tempo, nelle farmacie, «quando medici e notabili del paese vi si vedevano per indugiarsi sui fatti più o meno intimi e faceti delle famiglie più note» (dalla rivista L'Artistico del novembre 1963). Del gruppo facevano parte l'incisore Giovanni De Marco, il Poeta dei Brindisi; il cavalier Paolo Gandais, «preposto alla bucolica», il medico Emilio Cioffi, il marchese Luigi Stravino e soprattutto Paolo de Notaristefani, giureconsulto di fama ma soprattutto capo e governatore della Repubblica della Forchetta, che aveva il compito di organizzare banchetti leggendari.
In opposizione allo spirito eccessivamente canzonatorio dei «farmacisti» nacque, negli anni 20, il gruppo degli «antifarmacisti», accomunati dal tono più serioso (ma fino a un certo punto) e dalla passione per l'arte moderna e d'avanguardia. La pace tra i due schieramenti fu siglata durante una mitica cena svoltasi nel 1926, durante la quale il capo degli «antifarmacisti», il pittore Giuseppe Viggiani, si presentò in abito da sposa al banchetto organizzato dal governatore della Repubblica della Forchetta, il marchese de Notaristefani, a sua volta in abito da sposo. Il matrimonio fu celebrato tra applausi e risate: fine delle ostilità e fiumi di vino per celebrare la ritrovata concordia.
Ma tanta ilarità non era fatta per durare a lungo. Ci avrebbero pensato le devastazioni e i tormenti della guerra a strappare il sorriso dalla faccia dei «farmacisti» (e di tutti i napoletani). Dopo una dozzina di pantagruelici banchetti, il motto degli affamati artisti diventò Carpe Diem, sogliole fritte e vin de Conegliano.