di Alessandro Giovannini

"Il Governo italiano è povero ma i cittadini italiani sono ricchi, mediamente il triplo più ricchi dei miei concittadini olandesi. Prima di chiedere soldi agli altri dovreste cominciare a far pagare le tasse in Italia".

Lo ha detto Geert Wilders a Cernobbio a proposito del debito pubblico italiano e delle regole del patto di stabilità.

Chi è Geert Wilders? È un politico di spicco dei Paesi così detti frugali, parlamentare olandese e già candidato premier per il "Partito per la libertà", secondo per seggi in Parlamento. Semplificando molto, si può dire che è un liberale di destra, con posizioni fortemente sovraniste.

Il suo discorso va inquadrato nell'ambito delle trattative sotterranee avviate in Europa dall'Italia per la revisione del Patto di stabilità che, sospeso a causa della pandemia, dovrebbe tornare in vigore il primo gennaio 2023. Le regole, se non ammorbidite, determinerebbero per l'Italia un'emorragia economica e sociale insopportabile. Il patto, così com'è, infatti, impone di portare il debito al sessanta per cento del Prodotto interno lordo, con quote annuali di riduzione del tre per cento – per l'Italia circa cinquanta miliardi all'anno – e di contenere il deficit annuo al tre per cento del Pil.

Il debito italiano, adesso, è del centosessanta per cento! Il Pil, a tutto concedere, è stagnante e il rapporto deficit-Pil è al dodici per cento!

Il politico olandese ha messo i piedi nel piatto, come si suol dire. Wilders ha infatti anticipato, senza giri di parole, la posizione dei Paesi nordici rispetto alla richiesta dell'Italia – e della Francia – di alleggerire e di molto i vincoli. Ha fatto sapere che non sono disposti a concedere ulteriori benefit agli Stati spendaccioni, a meno che essi stessi non concorrano al ripianamento dei debiti con risorse proprie, con soldi, cioè, che i loro cittadini hanno accumulato anche grazie alla spesa pubblica spropositata degli ultimi quarant'anni.

Insomma, il suo dire è stato semplice e pragmatico: siccome il convento è povero ma i frati sono ricchi, siano i frati a pagare i debiti del convento. Cosa potrebbe voler dire questo per il nostro Paese? Tre cose.

La prima: i Paesi frugali non sono disposti a concedere nuovi finanziamenti ai Paesi del Sud con soldi presi a prestito dall'Unione europea, com'è avvenuto per il piano Next Generation Eu.

La seconda: essi si opporranno alla rinegoziazione delle regole del Patto di stabilità se i "Paesi cicala" non ridurranno concretamente l'evasione o aumenteranno le tasse.

La terza, quella per noi politicamente più delicata fin da adesso, è questa. L'Italia, dovendo sostenere la ripresa economica con iniezioni robuste di liquidità, dovrà per forza ridurre la pressione fiscale su lavoro e impresa. Ma seguendo il ragionamento dei frugali, questa riduzione dovrebbe essere bilanciata con l'aumento delle tasse su altri comparti, come quello immobiliare, o con l'introduzione di un'imposta patrimoniale.

Certo, per i frugali l'Italia dovrebbe adottare anche nuove misure di contrasto all'evasione. Ma queste politiche, producendo effetti solo nel lungo termine, avrebbero un impatto immediato assai modesto, e questo lo sa anche chi sta facendo la voce grossa. Dunque, se vogliamo dire le cose per come stanno, la discussione con l'Unione non potrà che ruotare sulle politiche di aumento delle tasse.

A meno che il nostro Governo, indipendentemente da chi lo guiderà, non riesca a sparigliare le carte in tavola, dimostrando di volere agire sul versante della spesa improduttiva, com'è quella per il reddito di cittadinanza, e sul versante dei costi impropri gravanti sulle imprese, dei costi impropri delle partecipate pubbliche o di quelli derivanti dalla ridotta concorrenza di mercato.

Un'illusione, questa? Forse, ma se lo fosse potrebbe almeno essere considerata "pia", dato che i frati, in convento, sono soliti pregare.