di Gabriella Cerami

Un piede nella maggioranza, l'altro nell'opposizione. Matteo Salvini non lascia campo libero a Giorgia Meloni anche perché a ottobre ci saranno le elezioni amministrative e i due insistono sullo stesso mercato elettorale, ma neanche crea una frattura nel governo. Fa l'Arlecchino, insomma, un po' con Fratelli d'Italia un po' con Mario Draghi, e gioca sull'ambiguità. Ritira gli emendamenti leghisti presentati alla Camera al decreto Green pass per dare una carezza al premier, che non pone la questione di fiducia, ma nello stesso tempo vota quelli presentati dalla destra. Non si tratta di modifiche di poco conto, stiamo parlando, giusto per fare un esempio, dell'abolizione del certificato verde per entrare nei ristoranti al chiuso.

Ai fini dell'approvazione del provvedimento poco cambia, il leader leghista sa benissimo di non essere determinante nei numeri parlamentari e infatti la modifica viene respinta. Ma la sua è una condotta in cui si cerca di tenere dentro tutte le posizioni della Lega senza scontentare né i governatori dell'asse Fedriga-Zaia né l'ala giorgettiana e iper-governista dei lumbard. Le mille contraddizioni esistenti nel suo partito lui ha cercato di conciliare in una sorta di doppio gioco che tra i leghisti chiamano, anche beffardamente, il "doppiopiedismo di Matteo".

A prima vista si potrebbe dire che Salvini si sia messo al seguito della Meloni, ma in realtà il suo disegno, in questa circostanza, risponde a una logica così congegnata, spiega chi lo conosce bene: non lasciare la bandiera "Ni-Vax" nella mani di Fratelli d'Italia e non stracciare la foto di Cernobbio. Ovvero l'unità più apparente che sostanziale del centrodestra e la promessa scritta per ora sulle acque del lago di Como che l'alleanza governerà in armonia nel caso dovesse vincere le prossime elezioni politiche. A questo va aggiunto un terzo fattore di non poco conto e che racconta la scelta di Salvini: non provocare una guerra tra Lega e Fratelli d'Italia a meno di un mese dal voto nelle grandi città.

Il cartellone luminoso dell'Aula di Montecitorio, dove appare palese che i voti leghisti si siano andati a sommare a quelli dell'opposizione, a tarda sera, fa scattare il putiferio. Il primo a parlare è il segretario del Pd Enrico Letta che attacca in maniera feroce: "Non si può stare nella maggioranza e contemporaneamente nell'opposizione. Dalla Lega ho trovato un atteggiamento gravissimo, irresponsabile". E poi ancora mette in dubbio la serietà dei leghisti che "non hanno a cuore la salute degli italiani e non è partner di governo affidabile".

La Lega gioca anche al rialzo e graffia il premier Draghi. Claudio Borghi, che sta gestendo la partita in Aula minacciando anche, nei giorni scorsi, di non votare la fiducia, a metà pomeriggio spiegava la tattica minacciando l'astensione o di votare a favore con Fratelli d'Italia: "Dipende da come si evolve la discussione parlamentare, se non ci riconoscono nulla, votiamo contro. Se, per esempio, dovessero dare il via libera ai tamponi gratuiti ai minorenni, potremmo astenerci", e così alza la posta. Arriva una prima astensione a un emendamento targato Meloni che voleva abolire il Green pass. Dopo la pausa si passa direttamente ai voti contrari.

La posizione tenuta dalla Lega appare alquanto irrituale in una logica di maggioranza, pur non causando una frattura all'interno del governo. Anche M5s, con il capogruppo Davide Crippa, si sfoga: "C'è una questione di coerenza". Rivolgendosi ai leghisti ricorda che in Consiglio dei ministri hanno approvato il provvedimento e poi in Parlamento hanno appoggiato un emendamento che chiede l'abolizione del green pass: "Dovete chiarire agli italiani da che parte state. È il disconoscimento della linea del governo. Questa è la linea di Salvini o di Giorgetti? Qualcuno ce lo può spiegare?".

E, mentre proseguono l'esame e i voti sul provvedimento, nel cortile di Montecitorio sono diversi i capannelli di sfogo tra deputati e dirigenti. "La stragrande maggioranza degli italiani è a favore dei vaccini e del Green pass. Perché dobbiamo votare contro o astenerci? Perché continuare a inseguire Fratelli d'Italia per un pugno di voti?", è il refrain delle discussioni tra i governisti leghisti. Ma Salvini tenterà di smarcarsi ancora.