Di OTTORINO GURGO

Per Matteo Salvini i guai sono come gli esami di Eduardo: non finiscono mai. Eppure, sino a qualche tempo fa il leader del Carroccio sembrava viaggiare con il vento in poppa: i sondaggi attribuivano al partito da lui diretto la più alta percentuale di consensi ed erano in pochi a non considerare del tutto attendibile l'ipotesi che sarebbe stato lui, come leader della coalizione di centrodestra, il presidente del Consiglio prossimo venturo. D'improvviso lo scenario sembra essere radicalmente mutato. Il castello da lui faticosamente costruito se ne cade a pezzi e le prospettive, per il capo della Lega, appaiono tutt'altro che rosee. A mettere in discussione la sua leadership e il suo progetto non è soltanto l'avanzata crescente di Fratelli d'Italia e di Giorgia Meloni che potrebbero insidiare il suo primato. Forse (l'avverbio dubitativo è d'obbligo) Salvini riuscirebbe a tenere a bada una tale insidia. Il fatto è che l'"imboscata" per lui più pericolosa potrebbe essergli tesa dall'interno del suo stesso partito. Non è una novità, infatti, che i militanti tradizionali del Carroccio, soprattutto al nord, stentino ad accettare i forti mutamenti verificatisi nel partito che non è più quello di Umberto Bossi che si muoveva all'insegna del populismo, dell'antieuropeismo e dell'antimeridionalismo. Questi tre capisaldi della politica leghista (che, in un primo tempo Salvini aveva fatto propri) sono progressivamente venuti meno. Un tale mutamento d'immagine (che potrebbe anche essere più strumentale che reale) è sfociato nell'appoggio al governo di Mario Draghi che ha sancito anche sul piano formale la rottura con Giorgia Meloni che pure era considerata la sua principale alleata. L’ inserimento nell'area di governo, con tutto ciò che comporta, ha creato un forte disagio nel partito e lo stesso Salvini stenta non poco ad adeguarsi alla linea e alle decisioni del presidente del Consiglio che, molto spesso, ostentatamente ignora le sue richieste. In queste condizioni, Salvini, combattuto tra la necessità di non contrastare gli umori della propria base e quella di adeguarsi alle scelte del governo, rischia di far la fine degli ignavi di padre Dante "a Dio spiacenti e a li mimici sui". Per dirla in modo meno nobile, di "non essere né carne, né pesce". Ultimo esempio, in ordine di tempo, è quello fornito dalla vicenda del green pass. Alla commissione Affari sociale della Camera, Salvini, per non deludere i suoi, ha fatto votare la Lega in modo difforme dagli altri partiti della maggioranza. In questo modo, tuttavia, ha indisposto tutti: i leghisti "puri e duri" hanno giudicato comunque troppo debole il suo atteggiamento, mentre Enrico Letta, segretario del Pd, ha dichiarato che, di fatto, con il suo comportamento, la Lega si è posta fuori dalla maggioranza e Draghi non ha tenuto in alcun conto le obiezioni di Salvini annunciando, quasi per una sfida, che con molta probabilità, il green pass potrà, a breve, essere dichiarato obbligatorio. Così la stella di Salvini che pure, sino a non molto tempo fa sembrava brillare, rischia di trasformarsi in una stella cadente come, del resto, attestano i risultati dei sondaggi più recenti.