Quello che stiamo vivendo è la morte cerebrale della NATO”. Questa è stata la diagnosi che Emmanuel Macron ha formulato il 9 novembre 2019 sulla scia del disimpegno americano dal nord della Siria e della nuova politica estera aggressiva della Turchia, membro dell’alleanza. La metafora medica, a dir poco impressionante, aveva lo scopo di scuotere i nostri partner e spingerli a riprendere il loro destino nelle proprie mani. Sorprendentemente, la lucidità delle parole di Macron è stata accolta più con disapprovazione che entusiasmo nell’Unione Europea. Eppure, non c’è mai stata una ripresa da questa morte cerebrale. Tre anni dopo, la Nato non c’è più. Macron aveva ragione.

Ora dobbiamo guardare con obiettività il nostro passato per costruire meglio il nostro futuro. Ma dobbiamo farlo con pragmatismo e riconoscere innanzitutto che dal 1949, data della sua creazione, al 1991, l’Organizzazione Nord Atlantica ha sempre svolto la sua funzione di difesa dell’Europa occidentale contro l’espansionismo sovietico. Tuttavia, con il crollo dell’URSS e la dissoluzione del Patto di Varsavia, questo ombrello geopolitico si è progressivamente dissolto. La NATO si è bloccata. Ha perso la sua voce. Cercava una ragione per esistere. Poi, anno dopo anno, nonostante operazioni come quella in Kosovo, essa è diventata l’ombra di se stessa. Un amaro e terribile epilogo.

Nel 2001, dopo i tragici attentati dell′11 settembre negli Stati Uniti, gli esperti NATO speravano che l’articolo 5 avrebbe spinto gli alleati a sostenere l’intervento statunitense in Afghanistan. Ma così non è stato. Vent’anni di stallo non hanno contribuito a salvare il soldato NATO. Con il senno di poi, dobbiamo riconoscere che la nostra assenza ha avuto un ruolo determinate nel suo declino. Perché nonostante fossimo membri NATO, non ci siamo mai fatti carico delle nostre responsabilità, né abbiamo avuto alcuna influenza nel suo comando. Infine, a causa degli interessi divergenti dei nostri partner, guidati dai tedeschi, abbiamo evidenziato la nostra impotenza politica globale e soprattutto la nostra incapacità di spendere di più e meglio per la nostra difesa.

Le continue divergenze interne alla NATO sono state il pane quotidiano di Donald Trump, l’uomo d’affari. Con le sue parole e il suo atteggiamento, l’ex presidente degli Stati Uniti ha stupito, persino annichilito molti europei. Tuttavia, questa turbolenza non è stata un episodio isolato, ma una tendenza consolidata. Joe Biden, il suo successore, lo ha confermato. Senza preavviso il neo presidente ha staccato la spina alla NATO in Afghanistan. Una sera d’estate del 2021, l’organizzazione transatlantica si è estinta per la sola volontà degli Stati Uniti. Non c’è dubbio che la storia ricorderà il 15 agosto 2021 come il giorno della grande involuzione geopolitica americana di questo secolo, ma soprattutto vorrei che ricordasse questa data come un nuovo inizio per noi europei.

Nell’era della transizione politica post-Merkel. Nel momento della Presidenza francese del Consiglio nel primo semestre del 2022, è imperativo rafforzare l’asse e la leadership franco-italiana, in attesa di conoscere l’evoluzione strategica di Berlino per costruire una forte difesa europea di 50.000 uomini con autonomia strategica. Oggi, schiacciati tra l’America a ovest e la Cina e la Russia a est, dobbiamo comportarci come una potenza mondiale e allentare la morsa. Senza una coscienza fondante di tutti i nostri partner, non saremo mai in grado di gestire le future crisi migratorie. O peggio ancora, a medio termine, di contrastare i movimenti di fanatici religiosi, galvanizzati dalla vittoria incontrastata dei talebani. Per non parlare dei nostri interessi vitali come europei, che si tratti della stabilità dell’Europa orientale, del Sahel o della Libia. Difendiamo i nostri valori. Senza compromessi o rinunce. Il mondo di ieri è finito. Viva la difesa europea.

SANDRO GOZI