Da qualche tempo gli investigatori più attenti della Direzione nazionale antimafia stanno concentrando le loro attenzioni sui social network: è lì che le nuove leve della criminalità organizzata sempre più spesso lanciano messaggi, fanno proseliti, attaccano i nemici, creano hashtag che rimbalzano da un account all'altro e fanno la conta dei like per capire dove soffia il vento del consenso nei territori da loro controllati.

Di più: con l'evolversi della comunicazione 2.0 si stanno venendo a creare vere e proprie figure professionali di influencer che promuovono i “valori” della malavita, esaltano le ostentazioni di ricchezza e potere dei boss, insultano le forze dell'ordine, e finiscono per diventare così popolari da essere contesi nelle feste più trash o in alcune tv private con ospitate a pagamento. La più nota di tutte è la pregiudicata Rita De Crescenzo, arrestata tempo fa con altre donne del Pallonetto di Santa Lucia con l'accusa di smerciare droga utilizzando anche il figlio dodicenne: su Tik Tok ha più di seicentomila follower e i suoi video, in alcuni dei quali insulta i poliziotti per strada, hanno collezionato quasi trenta milioni di like. Accanto a questi fenomeni al limite del folkloristico, ci sono però decine di profili più o meno identificabili che postano foto e video dal contenuto decisamente inquietante.

Uno dei filoni principali è l'esaltazione dei boss detenuti, spesso genitori, figli o fratelli dell'influencer di turno, con messaggi del tipo: “La galera è il riposo dei leoni!”, oppure “Auguri a chi dietro le sbarre guarda i giorni scorrere lentamente, auguri guerrieri di altre galassie”. Sempre sui social viene data notizia delle scarcerazioni eccellenti, con la foto dei camorristi accompagnate da scritte come: “Stavano solo riposando, adesso si rigioca...”. Altro compito importante affidato ai social, in ottica mafiosa, è la mitizzazione dei boss uccisi, quasi si trattasse di martiri innocenti che da lassù continuano ad ispirare le gesta criminali della cosca.

Il caso più eclatante è quello del giovane Emanuele Sìbillo, che a soli 17 anni capeggiava una gruppo criminale di coetanei denominato appunto “paranza dei bambini”, e che prima di finire ammazzato ha seminato il terrore nel quartiere della Sanità. Per i post che lo esaltano, è stato creato anche l'hashtag #ES17.

Proprio gli hashtag e gli emoticon svolgono un ruolo sempre importante nella comunicazione social della camorra. E così ecco fiorire #infami quando si tratta di insultare e minacciare i pentiti, oppure disegnini di catene, di bombe, di coltelli o di pistole a corredo di post in cui si applaude ai capi in cella o appena scarcerati. Proprio un curioso hashtag apparve qualche anno fa in calce ai post di un nuovo gruppo di camorra che a Ponticelli si contrappose al clan egemone dei De Luca Bossa scatenando una violenta faida: era #XX e lo lanciò lo scissionista Antonio De Martino, il suo gruppo fu per questo denominato “il clan degli Xx”. Anche gli Esposito di Bagnoli hanno un marchio con cui esaltano il proprio potere sull'area occidentale di Napoli, “#6.5 regna”, dove 6 e 5 rappresentano la sesta e quinta lettera dell'alfabeto, F ed E: famiglia Esposito, appunto. Molto diffusa sui social anche l'esibizione di ricchezza e potenza dei boss e dei loro familiari, specialmente attraverso i video di feste sfarzose.

È recente il caso del 18esimo compleanno di Massimiliano Esposito junior, figlio dell'omonimo boss di Bagnoli, con tanto di neomelodici sul palco in piazza, oppure la festa per la prima comunione del capoclan di Arzano Pasquale Cristiano, con un corteo di fuoriserie bianche e il boss (che era ai domiciliari) in Ferrari per le vie della città sotto gli occhi dei vigili urbani. Ostentazioni che producono fenomeni di emulazione tra i giovanissimi, con veri e propri cosplay che imitano le acconciature hipster e tatuaggi dei ras emergenti o delle loro fidanzate, come nel caso di Emanuele Sibillo e Mariarca Savarese, diventati modelli per frotte di ragazzini e ragazzine dei vicoli di Napoli. Non c'è solo ostentazione, però.

I social servono anche a difendere la propria famiglia smentendo le voci di un pentimento eccellente: “I miei fratelli non c'entrano con lo Stato, non parlano con i pm #infami”, uno dei messaggi apparsi di recente. Oppure per comunicare ad affiliati e nemici la nascita di nuove alleanza tra famiglie di malavita. È accaduto a Ponticelli quando in un lungo post su Tik Tok di un account chiamato “fraulella”, soprannome dei De Luca Bossa, sono state accostate una serie di foto di boss uccisi o detenuti sia dei De Luca Bossa sia dei Minichini, sancendo in questo modo la nascita di un patto di sangue tra le due famiglie di mala.

Anonimo Napoletano