di Stefano Casini

I complessi processi di cambiamento registrati negli ultimi decenni del XIX secolo, la cosiddetta "modernizzazione" dei paesi meridionali come il Brasile, hanno portato allo sviluppo di economie agro-export. Hanno anche prodotto un maggior legame con il mercato mondiale, una crescita dell'urbanizzazione, accompagnata dallo sviluppo del settore industriale, una ristrutturazione della società, e la costituzione di nuove classi sociali, nonché l'accoglienza di capitali esteri che hanno contribuito allo sviluppo dei servizi e un flusso degli immigrati europei.

La presenza degli europei è stato uno dei motori dei principali cambiamenti continentali. Nel contesto regionale viene affrontato il ruolo dell'immigrazione europea nella formazione dei quadri aziendali e delle organizzazioni aziendali in Cile, Argentina, Brasile e soprattutto Uruguay. 

Negli anni 1870 - 1880, gli europei si sono mossi verso diversi paesi. Anche se Stati Uniti e Australia abbiano acquisito una forte rilevanza, negli ultimi decenni del XIX secolo la destinazione principale era il Sud America e specialmente il Rio de la Plata. Il numero di persone che emigrarono in questo continente tra il 1870 e il 1930 si stima in 4.000.000 verso l'Argentina, 2.000.000 per il Brasile, 200.000 per il Cile e Cuba e 600.000 che sono arrivati in Uruguay.

La formazione di un tessuto imprenditoriale L'emigrazione europea all'estero ha promosso la creazione di associazioni di commercianti  nei diversi paesi di destinazione, legata alle camere di commercio dei rispettivi paesi di origine. Le società commerciali, in particolare la Spagna e l'Italia, promuovevano la creazione di camere di commercio nelle città con alto traffico commerciale. Si costituirono così all'estero fitte reti di camere di commercio spagnole, francesi e italiane, molto attive, che hanno svolto un ruolo fondamentale nello sviluppo di una cultura imprenditoriale. Si riconosce cosí una rete di interessi nelle comunità imprenditoriali di origine italiana. Nel 1900 giá esistevano 15 camere di commercio italiane nel mondo, tre delle quali in Sudamerica: una a Montevideo, la prima, fondata nel 1883, una a Buenos Aires, l'anno successivo e l'ultima a San Pablo nel 1892, poi rifondata nel 1902.

Le camere delle imprese erano articolate per capitale finanziario, nascendo da vari studi di casi che hanno analizzato le appartenenze commerciali di queste società. Questa rete di associazioni imprenditoriali  si sommava ad altri processi associativi nei paesi latinoamericani, tra i quali le camere di commercio locali, costituite da locali e alcuni stranieri, sindacati agrari e organizzazioni industriali. Nell'ultimo quarto del XIX secolo, Brasile, Argentina, Cile e Uruguay hanno assistito alla formazione di una rete di associazioni imprenditoriali con caratteristiche comuni. Alcune avevano un profilo etnico, accettando l'inclusione di uomini di affari di altre origini.

L'Uruguay è stato istituito, come stato indipendente, nel 1828. Il paese che era sopravvissuto alla Grande Guerra fra gli anni 1839 e1851 aveva pochi abitanti. Nel 1872, il francese Adolfo Vaillant, il primo a realizzare statistiche, sosteneva  che, in Uruguay, abitavano 420.000 persone mentre la capitale Montevideo, superava appena i centomila, essendo uno dei due principali porti del Rio de la Plata, che cominciava a perdere il primato nel commercio di transito.

La produzione dell'Uruguay si basava sull'allevamento del bestiame, bovini e ovini. La diversificazione dell'allevamento permise di aprire nuovi mercati per le materie prime d'esportazione, come la carne secca, le pelli e la lana, che, a loro volta, generavano attività di trasformazione socio-economica.

Nella seconda metà del XIX secolo, Montevideo concentrava un'alta percentuale di europei che significavano piú della metá dell'intera popolazione, ció che spiega, in parte, l'importanza della loro partecipazione nel settore industriale e dei laboratori.

La presenza degli stranieri a Montevideo assume un altro significato, quando i dati sono limitati agli uomini di età superiore ai vent'anni.

Nel censimento del 1889, l'anagrafe colloca gli stranieri in circa l'80% della forza lavoro. 20 anni dopo, il quadro si modificava in favore dei nazionali, tuttavia, gli uomini stranieri di età superiore ai vent'anni. rappresentavano poco più della metà della forza lavoro maschile.

Rodríguez Villamil e Sapriza credono che, fino al 1890, la capitale mostrava una società con un'alto numero di stranieri, in coincidenza con un periodo di forte immigrazione che si concluse bruscamente con una crisi, ma che sarebbe poi ripreso anche se più debole.

In questo contesto, Montevideo aveva un settore importante di officine e alcune fabbriche. Secondo Millot e Bertino nel 1889 operavano 1.795 stabilimenti e il paese aveva una popolazione attiva di 34.357 individui, con una media di 19 lavoratori per stabilimento. Secondo il processo di sviluppo industriale in Argentina e Cile, anche l'Uruguay si riempie di officine e alcune fabbriche, la cui la produzione era orientata al mercato interno e ad una fascia di consumatori di scala.

Millot e Bertino, osservano che gli stabilimenti erano dislocati in diverse zone di Montevideo, alcuni dei quali con campi e stabilimenti produttivi. Parte degli operai alternava mansioni agricole e industriali, quindi si immagina che non avessero una specializzazione o conoscessero un mestiere specializzato, essendo limitati all'apprendimento e all'esecuzione di compiti semplici.

Per quanto riguarda il ruolo dell'immigrazione nel settore industriale non c'é dubbio sul fatto che siano stati gli artefici dello sviluppo dell'Uruguay. I lavoratori autonomi come imprenditori, artigiani, ecc. rappresentavano  quasi il 34% tra gli uruguaiani e il 57,16% tra gli stranieri, quest'ultimi rivelando una maggiore capacità di iniziativa, perché erano dotati di abilità che potevano applicare con successo in un mercato in espansione. Facevano parte anche dei social network, formati dai loro connazionali e godevano dei vantaggi derivanti da quei collegamenti non trasformandosi mai in ghetti come in altri paesi, specialmente gli italiani. In questo contesto si formarono i due sindacati che rappresentavano gli industriali: la Lega Industriale e l'Unione Industriale uruguaiana.

La Lega Industriale fu costituita il 22 marzo 1879, dopo una riunione di cinquanta imprenditori. Questa riunione si svolse nella Sala Progreso, con l'obiettivo di istituire un centro impegnato a difendere gli interessi e i diritti dell'unione industriale e a promuovere il benessere degli artigiani. L'indicatore di appartenenza registrava la maggioranza delle medie e piccole imprese, negozi di liquori, falegnamerie, sartorie, modeste sigarerie, litografie, lattoniere, negozi di scarpe, fonderie, cappellerie, concerie e materassi fra molti altri. Anche se allora erano modesti mecenati, già erano presenti i cognomi che avrebbero fatto la grande industria: Carlos Ameglio (negozio di liquori); Juan Bautista Bidegaray (segheria); Giosué Bonomi e figli, fondatori della rinnomata marca Monte Cudine, Barraca del Pontone, Antonio Barreiro y Ramos (libreria e tipografia). Poi c'erano i mulini di Cavajani-Sanguinetti, quello di Luigi Podestá ed uno molto speciale, quello di Castellanos-Delucchi e quello di Pietro Corradi mentre Bartolo Deambrois fabbricava sapone e candele. Produttori di sigarette come Julio Mailhos e Achille Ferriolo sono un esempio del segmento più potente dei soci. Il registro includeva già grandi imprenditori, come il mugnaio Santiago Gianelli, che aveva rimodellato la sua ditta con macchinari italiani e nel 1873 il francese Eugenio Villemur con la sua fabbrica di candele e sapone.

Come El Club Industrial e la UIA in Argentina o il Sofa in Cile, una dozzina di commercianti, anagrafi, importatori, orticoltori e proprietari costituirono il registro dei membri della Lega Industriale. Alcuni di loro cominciarono le proprie attività industriali, come Alberto Montaldo, che fondó una fabbrica di fiammiferi. La causa degli industriali attirò importanti adesioni di professionisti e uomini pubblici, soprattutto i politici. Comparirono cosí soci come: José Batlle y Ordoñez (Presidente della Repubblica in 1903-1907 e 1911-1915), Alcides de María e Teófilo Gil, giornalisti; il naturalista José Arechavaleta; avvocati di spicco come Juan Carlos Blanco, Carlos María de Pena, José Pedro e Gonzalo Ramírez, Mateo Magariños Cervantes e Alberto Nona. Anche altri grandi politici come il senatore Agustín de Castro e il deputato Felipe H. Lacueva, il Ministro degli Affari Esteri Manuel Herrera y Obes e il Ragioniere Generale dello Stato, Tomás Villalba. Aderirono anche medici, camerieri, qualche ingegnere, alcuni educatori e due soldati.

Nel 1885 la Lega aveva 212 soci imprenditori fra cui 180 artigiani e industriali con 32 società di servizi. 65 iscritti con libere professioni come avvocati, medici, un ingegneri e giornalisti). Altri soci avevano funzioni nella pubblica amministrazione e non mancarono coloro che facevano parte della casta regnante. La presenza di un ministro, un senatore, un deputato, direttori di uffici pubblici, funzionari, ha aperto vie per influenzare e trovare interlocutori sensibili alla causa industriale. 

La diffusione di questa iniziativa aveva, come maggiore altoparlante i giornalisti che misero i propri mezzi di comunicazione al servizio di quella causa, influenzando i poteri pubblici e di tutta la società.

Da sottolineare l'ampio elenco di avvocati aderenti che merita una particolare attenzione, dato che, molti di loro, erano responsabili di studi legali collegati alle attività delle imprese private.

C'erano anche società estere che volevano investire nel piccolo paese che stava diventando la Svizzera D'America. Alcuni raggiunsero alte posizioni politiche, come Carlos María de Pena, docente dell'Università della Repubblica, deputato, senatore e Ministro.

Non c'é dubbio che, come sostiene fra l'altro il grande storiografo Beretta Curi, il sangue italiano è stato fondamentale nella costruzione di questo paese e le iniziative di tanti connazionali nel XIX secolo, hanno contribuito a formare il tessuto industriale e operativo dell'Uruguay.

STEFANO CASINI