di Antonio Saccà

Il verbo greco Poieo (in lettere italiane), significa "fare", da esso provengono i termini poesia, poema, vale a dire "fare", scrivere, operare. Le Poesie, i Poemi sono delle manifestazioni del fare umano, antichissimi. L'uomo sente presto il bisogno di esprimere idee e specialmente emozioni. Le prime manifestazioni del nostro sentire e pensare con parole avvennero con i Poemi, di carattere religioso o eroico, non vi era posto per la gente comune, piuttosto per gli Dei o per gli Eroi. Sono narrazioni in versi, dette epopee, ed epica fu denominata questa forma espressiva, lunghe narrazioni in versi di Eroi e Dei, dal vario contenuto, in ogni caso esemplari, sul modo di comportarsi, prendere ad esempio un Dio o un Eroe, o sulle loro difficoltà incontrate, gli errori, il superamento degli errori, anche narrazioni di carattere cosmico, la formazione dell'Universo, la genealogia degli Dei, lotte tra Dei e Dei, tra Dei e Uomini fortissimi, lotte tra uomini. Nella cultura induista i Poemi sono specialmente educativi, si tratta di avventure di un Dio-eroe, come nel Ramayana, il senso ultimo è nel superamento delle avversità in modo virtuoso. Similmente nel poema induista Mahabharata, che evidenzia pure l'obbligo di rispettare le caste.

In Europa abbiamo poemi filosofici come il De rerum natura di Tito Lucrezio Caro, sulla negazione dell'immortalità dell'anima; poemi religiosi come Le Metamorfosi di Ovidio, che riprendeva in parte la Teogonia del greco Esiodo, riguardante l'origine ed i mutamenti della realtà. Campeggiano le mitologie degli

Eroi: IliadeOdissea di Omero, Eneide di Virgilio, Farsalia di Lucano. Ma sono cenni. Per lunghissimo tempo la forma letteraria del Poema non ebbe espressione, rinacque al tempo in cui si formarono le mitologie di nuovi paesi e nuove monarchie e soprattutto a causa delle guerre tra cattolici e musulmani. Ci limitiamo ai poemi che hanno per riferimento la corte del Re Artù, con gli eroi Lancillotto, Calvano, Parsival, e la regina Ginevra, tra i tanti, ed il ciclo carolingio, di Carlo Magno, con i paladini e i musulmani. Vi sono anche poemi più nazionali, i Canti dell'Edda, germanici, Kalevala, finnico, i poemi irlandesi. Mentre però nel finire del primo millennio tali poemi mantenevano l'eroicità dei poemi classici greci e romani, grandi combattenti devotissimi ai loro ideali pur se intemperanti, tracotanti, poi, quando il ciclo carolingio fu ripreso da taluni Autori di cui parleremo, Boiardo, Ariosto, eroi come Orlando, Rinaldo, che nell'originario ciclo carolingio erano essenzialmente guerrieri si mutano in guerrieri per ottenere la donna della quale sono innamorati. E lo stesso, i musulmani.

Il ciclo carolingio

Tra il sesto ed il settimo secolo d. C. nel Medio Oriente accadde un evento che cambierà le sorti del Mondo. Taluni popoli idolatri furono orientati verso una religione appena sorta, la musulmana. La fondava Muhammad(Maometto), il quale nei viaggi che compiva nei territori arabi conobbe sia la religione locale e le divinità locali magiche, feticistiche, con figure buone e cattive, l'ebraismo, il cristianesimo. Ne venne, dicevo, una religione che prende moltissimo dall'Antico Testamento, stravolgendolo, e rendendolo testo musulmano e fondativo della religione musulmana, Dio si muta in Allah e tutti i profeti vengono considerati musulmani; rispetto al cristianesimo, Gesù non è considerato Figlio di Dio. L'Islamismo è nettamente monoteista, un solo dio, Allah. Il testo che afferma questa religione è Il Corano. Sconfitti i seguaci delle religioni precedenti, e gli ebrei ed i cristiani, unificatisi con la religione islamica ed un unico Dio, in pochi anni i musulmani si espandono e dall'Africa del Nord giungono in Sicilia e nell'Italia meridionale, in Spagna, in Portogallo e tentano di conquistare la Francia. Ma la Francia impedisce l'ampliamento del dominio islamico, Carlo Martello sconfigge j musulmani a Poitiers (733).

Da queste e da successive vicende nacquero testi e un'epopea che per secoli nutrirono la civiltà europea contro il nemico islamico. Scontri ulteriori fondamentali, la Battaglia di Lepanto (1571) e infine la barriera che fermò i musulmani prossimi a Vienna. Dall'impresa di Carlo Martello e quindi di Carlo Magno sorsero poemi celeberrimi tra cui La Chanson de RolandLa Chanson de geste, opere che inneggiavano agli eroici "paladini" i quali combatterono i musulmani. Tra i paladini svettano Rolando (Orlando) e Rinaldo. I poemi, del IX-X secolo cantano le loro gesta, e segnatamente la tragica morte di Orlando, il quale, per tutelare le retrovie dei Franchi, troppo separate dall'esercito, con un piccolo numero di combattenti viene ucciso dai Mori, a Roncisvalle. La narrazione della morte di Orlando, il suo sforzo di farsi udire soffiando nel corno, la sovrastante quantità di nemici, il rapporto di Orlando con la sua spada, Durlindana, raggiungono l'epica greca ed in ogni modo fanno parte, dicevo, delle figure eroiche e dei canti eroici della nostra civiltà. Orlando, Rinaldo sono i guerrieri difensori dell'Europa, della fede cattolica come fede europea, oltre ogni riserva, al prezzo anche della vita.

I Poemi che li cantano e li narrano divennero, e lo sono ancora, popolari. Non restano limitati alle classi colte o ai guerrieri, ma, dicevo, il popolo li rese propri, le vicende divennero argomento di narrazione nelle piazze, materia per i cantastorie, spesso li si raffigura in forme teatrali come Pupi. Sono eroi della nazione europea. Ovviamente nelle classi colte i Poemi venivano recitati nei testi originali. Almeno nelle classi elevate tutto questo durò finché durarono la cavalleria e lo spirito cavalleresco. Quando la Borghesia sostituì l'Aristocrazia cessarono il Poema e la mentalità cavalleresca, la prosa sostituì il poema in versi, e non vi fu più una narrazione esaltativa, epica, il canto ritmato dalle cadenze rimate fu sostituito da una prosa efficace, espressiva ma priva della sonorità cadenzata del Poema. Finì la solennità dell'epica. Il romanzo sostituì il Poema; l'Eroe pratico borghese sostituì l'eroe aristocratico. Se il Poema era nato con l'aristocrazia guerriera, il Romanzo nasce con la borghesia attiva, affaristica. In passato opere narrative ne erano esistite da gran tempo, ma predominava il Poema. Il Poema aveva bisogno di soggetti che si misuravano personalmente ad esempio nei duelli, il che mancò quando i combattimenti non avvennero in forma di duello personale ma indiretta: cannoni, mitraglie.

Un Poema in versi di battaglie con i carri armati, poniamo, risulterebbe improprio. Oltretutto non vi è lo spirito, lo stato d'animo esaltante, eroico dei tempi antichi. O non si manifesta al modo antico. Sia come sia, al dunque si estingue il poema e l'età degli eroi. Ma il Poema "classico, il Poema con i duelli, gli aristocratici guerrieri, i popoli, lo scontro di fede, le conquiste, le avventure reali e fantasiose degli Eroi avevano già avuto nel tempo dei mutamenti. Un velo di ironia si stendeva sul mondo cavalleresco. Alcuni poemi erano stati beffardi, anzi, con protagonisti personaggi che non soltanto non erano eroi ma addirittura il contrario, dei bestioni tanto forti quanto rozzi, il contrario dei cortesi, nobili paladini o gentiluomini degli antichi poemi, tale fu Il Morgante di Luigi Pulci (1432- 1484). Ma esistette una modificazione più raffinata, i protagonisti dei poemi cristiani del ciclo carolingio, non apparivano come terribili guerrieri e difensori con la vita del cristianesimo contro i musulmani come inneggiati ne La Chanson de RolandLa Chanson de geste, piuttosto quali uomini eroici ma innamorati e all'amore dedicavano se stessi più o quanto alla loro fede ed alla guerra. Questo cambiamento lo dobbiamo ad un italiano, Matteo Maria Boiardo, nel suo poema "Orlando innamorato", che dal titolo palesa il cambiamento. Il "canto" di Boiardo narra in versi, è proprio una narrazione, un romanzo in versi, narra, dicevo, di Orlando innamorato, innamorato di una donna, giovanissima donna, anzi una fanciulla, una fanciulla che al solo vederla ci si innamora, cristiani e saraceni, e che distoglie dalla guerra o fa guerreggiare per lei, per amarla, per averla, per non consentirla ad altri.

Questa fanciulla che diverrà segno dell'attrattiva femminile ha un nome celebre quasi al pari di Elena, di Beatrice, di Laura, è Angelica, il suo nome, semplice, femminile, corporea, senza ombra di spiritualità, tutta bellezza umana e terrena, bella da far accendere gli uomini, cristiani, musulmani, o chi sia, da rendersi preferita ad ogni altro impegno che non sia starle appresso in tutti i luoghi del mondo. E Orlando, e gli amatori, non le vanno appresso per cantarla o ammirarne le virtù ma da maschio a femmina, certo, da cavalieri, ma pure da uomini ardenti e vigorosi.

Matteo Maria Boiardo, di illustre famiglia, nacque a Scandiano (Reggio Emilia), nel 1441, visse a Ferrara, alla corte degli Estensi, potente casato incline a circondarsi di artisti, come di regola in quest'epoca, il Rinascimento. Ogni casato cercava di eternarsi mediante gli artisti nella gloria mondana. Boiardo fu governatore di Modena e di Reggio Emilia. Scrisse poesie in volgare(italiano), un canzoniere dedicato alla donna amata, Antonia Caprara, ma l'opera che gli assicura memoria è Orlando innamorato, in rime ed in ottave (una successione di otto versi). Le corti dei Signori rinascimentali non intendevano udire vicende tragiche e se non scadevano in argomenti ridicoli, farseschi, poco elevati, tuttavia evitavano il drammatico ed il tragico, restavano il piacevole, l'avventuroso, il fiabesco ed una narrazione in versi che aggiungeva quel non so che di musicale dovuto alle rime, ciò che rendeva ancor più piacevole ed ascoltabile la narrazione. Erano testi letti in pubblico. La Corte si radunava ed il Poeta o un recitatore leggevano, "cantavano" il poema. Gli ascoltatori erano persone di cultura. Esisteva, allora, un nucleo di eccellenti.

Nel campo poetico il Rinascimento non ha le supreme elaborazioni linguistiche, tutte loro, di un Dante o di un Petrarca. Il sigillo di identificazione personalissimo, o il tragico ed il lirico, sempre di Dante e del Petrarca, ma, dicevo, ha il piacevole, il buon gusto, la narratività che attrae, da Lorenzo il Magnifico, ad Angelo Poliziano, al Boiardo è un vero godimento leggere il loro amore per la natura, il culto della giovinezza e della bellezza contro la fugacità dell'esistenza ed il perire della stessa, sì che occorre cogliere il presente, i sentimenti amorosi tra uomo e donna. A Boiardo non manca la minima qualità di questa aura rinascimentale. Egli la incarna precisamente. La vita occorre passarla nei meandri dell'avventura, con dignità guerriera, nell'amore e nei combattimenti, in una corsa piena di vicende, tra il reale ed il fantasioso, il credibile e l'incredibile, purché sia degna di narrazione. E così i poeti narratori avvincevano se stessi e la nobiltà che ascoltava e li leggeva, duplicando l'esistenza di vita reale con un'aggiunta di sogni, fantasticherie, ed il magico. La vita si moltiplicava ed incitava ad imitare gli Eroi, perché la peggior vita stava nel non vivere vivendo, nel farsi piccoli, meschinelli, risicatucci.

La vita del Boiardo non ebbe grandi eventi esteriori, l'amore con Antonia Caprara finì con delusione del Boiardo, che si coniugò a Taddea Gonzaga e ne ebbe ampia prole. Di grave gli accadde un omicidio tentato e risolto contro di lui, per questioni di irrigazione. Suoi parenti spezzarono gli argini delle acque che venivano recate alle terre del Boiardo, ne vennero contese, e lo sventato omicidio con veleno sul Boiardo. Pur attestando il malfatto Boiardo non ebbe causa vinta, decise di amputare il suo feudo dandone ai parenti. Morì nel 1494. Il suo ceppo familiare si estinse un secolo dopo. Boiardo coniuga umanesimo e rinascimento, cultore di scrittori latini, ed anche greci, in una famiglia di letterati, il suo poema attinge al ciclo carolingio. Orlando, Rinaldo, i Saraceni, Re Carlo, ed al ciclo bretone, Re Artù ed i Cavalieri della Tavola Rotonda, ed è , come accennato, un canto gradevole, felice, alla giovinezza, all'amore, all'avventuroso, al fiabesco, con versi musicali, scorrevoli, non banali, sensibili alla natura, sollecitando un piacere di lettura e di ascolto che troverà compimento in Ariosto con maggior potenza narrativa e folla di vicende.

Boiardo non concluse il suo poema, morì alla terza parte, sempre dicendo di Orlando e di Angelica, amore non soddisfatto ma ostinato. La precoce morte di Boiardo diede modo ad Ariosto di continuare le vicissitudini di Orlando ma alzandone la misura passionale, giacché Orlando che in Boiardo è innamorato, in Ariosto diventa un innamorato furioso. In effetti Orlando ne aveva subite, pene, continue, ed umilianti. Venuta alla Corte di Re Carlo mentre costui riunisce cristiani e musulmani, Angelica, Principessa del Catai, pare abbia uno scopo scaltro e malvagio, scombussolare cristiani e islamici consentendo al Padre, Re del Catai, di vincere la guerra. E accade che lo scopo sembra raggiunto, tanta è la frenesia di cristiani e musulmani a inseguire Angelica, tra costoro i paladini, cugini, Orlando e Rinaldo. Pure se il titolo del Poema del Boiardo è Orlando innamorato, è Rinaldo che stravede per Angelica, Orlando sta a guardare al fine di impedirne il compimento amoroso. In questo l'ha vinta, quando Angelica beve dalla fontana dell'amore, Rinaldo beve acqua che gliela fa odiare, dunque non si uniscono. Orlando si limita a essere cavaliere di Angelica, respinta da Rinaldo, ma non è che Angelica ami Orlando. Tra i personaggi dell'Orlando Innamorato vi è Ruggero, antenato leggendario di Casa d'Este, a cui il Poema è dedicato. Come lo sarà "Orlando Furioso".

Ludovico Ariosto

Anche Ludovico Ariosto vive nella sfera degli Estensi, a Ferrara. Ed anche Ariosto ha impieghi alla Corte degli Estensi, divenne Governatore della Garfagnana. Come Boiardo, non visse esistenza agitata, raminga, avventurosa. Ma le avventure che non visse, le scrisse. E moltiplica la già fantasiosa inventiva di Boiardo, mettendo nel suo "Orlando Furioso" tutto il concepibile ai limiti dello straripamento nell'inconcepibile: duelli, castelli, maghi, incantamenti, peripezie, sempre con la bella Angelica a fuggire e tutti, cristiani e musulmani a starle ai fianchi, a piedi, a cavallo, combattendo, facendo lega, mentre Angelica non prende alcun Eroe e si unirà, lei fanciulla, con il Medoro, giovane e sempliciotto, a segno che l'amore è pazzo e fa impazzire. Ed infatti già Boiardo con la fonte dell'amore e dell'odio aveva messo a nudo che l'idea medievale dei cuori gentili che inevitabilmente si amano era impropria e invece l'amore ama ciò che sente, chi sente al disopra di ogni armonia tra simili. E meno che mai per il valore e le qualità. Si che Angelica sceglie il sempliciotto Medoro. Orlando, che ne aveva patito in Orlando innamorato ora in versi scorrevoli, melodiosi, in narrazioni incombenti, in eventi con il reale che si fa sovrareale, con magie, invenzioni, portenti ad ogni pagina, Orlando, dicevo, contribuisce al pandemonio di Ariosto con la sua follia, facendo stragi non guerresche ma con fantasmi, strapazzando intere foreste, in ciò precorrendo l'altro meraviglioso personaggio che non sopporta la realtà, Don Chiscotte. Infine il Cavaliere Astolfo su di un destriero con le ali, non potevano mancare i cavalli che volano, raggiunge la Luna, dove tra le moltissime robe finite lassù, trova il cervello da restituire ad Orlando, il quale comprende, e Ariosto intende dirlo a chiunque ed a se stesso, che non è bene perdere la mente amando. Il Poema è anch'esso in onore degli estensi, dicevo, ed è tra i più gradevoli a leggere di ogni letteratura. Ariosto morì il 1533.

Torquato Tasso

In Boiardo, in Ariosto l'antica cavalleria è considerata esemplare per la passione d'amore, anche per l'eroismo contro i musulmani, i protagonisti sono presso che tutti belli e coraggiosi. Ma il tutto, specie in Ariosto, con un velo di ironia o con la coscienza di un passato. Chi non ha velo di ironia e vorrebbe che il mondo degli dei e degli eroi, quelli del tempo che fu, e quelli che ascoltavano o leggevano i Poemi, chi intendeva ancora che permanessero la donna pura e fedele, l'uomo nobile, la nobiltà dell'uomo, chi sognava come reale il mondo dei cavalieri, degli ideali religiosi, degli eroi senza minimo polverio, quasi usciti da Omero, fu Torquato Tasso. Figlio di Bernardo, un letterato, e vissuto alla corte degli estensi, Tasso, in un un'epoca in cui il Cattolicesimo si urtava con il Protestantesimo e cercava di impedire ogni trasgressione all'ortodossia, Tasso, dicevo, prende sul serio ideali cavallereschi d'amore e di fede, e al pari di Omero che esalta i greci, di Virgilio che esalta i fondatori di Roma, Tasso esalta le Crociate, i liberatori del Santo Sepolcro. Anch'Egli è un narratore in versi, versi sonanti, epici, più intensi, energici dei versi di Boiardo e di Ariosto, meno addensati di fatti, di narratività, in specie quali in Ariosto.

Tasso vuole glorificare i Crociati e la famiglia estense, è preso tuttavia da amori, dal piacere della narrazione e dei personaggi, Goffredo di Buglione, Tancredi, Armida, Erminia, dalle battaglie. Ma non sono questi i fini che Tasso voleva, Egli voleva cantare il trionfo della Fede Cristiana, voleva fare epica, voleva fare l'Omero e il Virgilio del Cattolicesimo. Aveva scritto Rime d'amore, con forte tensione, saggi sul fare i poemi, dialoghi, una favola pastorale, Aminta, assai lodata, ma non aveva risolto l'arte di vivere, sospettoso ai vertici del delirio persecutorio, atterrito dal non essere perfettamente cattolico nella terribile epoca della Controriforma che esasperava il rigore della fede. Certo di non essere amato anzi avversato, passò anni rinchiuso, fu ramingo, era nato a Sorrento nel 1544, morì a Roma nel 1595. A rimedio della "peccaminosa" Gerusalemme Liberata scrisse Gerusalemme Conquistata. La vittoria dell'angoscia del peccato sull'arte. Anima tormentata, estrema, Tasso ebbe "fortuna" anche in epoca romantica quale segno delle difficoltà dell'artista nell'ordine sociale.