A Marousi, città benestante dell’hinterland ateniese, negli anni Ottanta qualcuno inventò un telefono a cui si poteva ordinare il pranzo a casa. Oppure la cena, i dolci per un tè o per un ricevimento. Un piatto greco, uno messicano, uno giapponese, italiano, cinese, e tanto altro: un mondo di cose buone in una piccola città. Per non poche ma neanche troppe dracme. Ebbe successo, ma non dilagò, perché il mondo aspettava internet, che ha cambiato la scena in modo strutturale, non casuale. Chi invece, oggi, usufruisce dei servizi che gli permettono infinita sedentarietà, spesso gioca a fare il tradizionalista ostentando difese del passato come da protocollo prestampato. Ora il cattivo è Jeff Bezos, l’uomo che in un attimo ti manda tutto quello che vuoi, ma proprio tutto, anche quello che non sai che esiste, e, con qualche soldo in più, pure un biglietto per lo Spazio.

Durante il lockdown quando erano eroi i ragazzi che portavano spesa e panini, anche Amazon aveva una giustificazione morale, preziosa per gli ipocriti senza scampo. Ma ora il suo impero diventa il bersaglio di chi si inventa la difesa di quei negozianti che fino a poco fa accusava di essere cari, di avere tutto eccetto quello che cercavamo, di non essere cinesi, ma vendere cinese come gli emporietti gialli, di lamentarsi per le spese e per le tasse, ma comprare ville al mare risparmiando sugli scontrini, di spacciare oggetti fuori produzione per ultimi modelli, di sentirsi il centro del mondo commerciale nelle piccole città. Sul web, invece, tanti contro il colosso, ma pochi fanno caso a chi propone on-line affaroni e tariffe segrete “solo per te”, come se fossimo vecchi amici. O sconti “fino al 70 per cento” quando la media reale è del 20. Oppure truccano i prezzi e vendono alla metà del doppio.

Ma Amazon è il male assoluto, il suo odiatissimo creatore è un uomo talmente fuori dell’orbita terrestre da chiedersi come abbia fatto in così poco tempo a creare tutto ciò. Forse perché è americano, come Bill Gates, Elon Musk, Steve Jobs? Eh, sì, è l’America, caro signore! Il sistema stuzzica i nostri sogni proponendoci a prezzi quasi umani seminterrati di hotel a 5 stelle come fossero camere da favola, garantiscono dieci uzbeki e cento coreani che ci hanno dormito, altro che ascoltare quel nostro amico furibondo perché in Germania non ha trovato il bidet. Altri ci vendono un oggetto per posta e ne chiedono descrizione e prova a noi clienti. Addirittura, ci pregano di aiutare chi non sa usare quello che ha acquistato, costituendo una comunità virtuale di clienti autogestiti, operazione che, in modo strisciante, esonera fabbricanti e distributori da molte responsabilità e tanto lavoro. Per contro, cambiano la merce, che ritirano con facilità e senza troppe giustificazioni da parte dell’acquirente, in un mondo on-line che mortifica il dialogo, ma nemmeno richiede toni piagnucolosi e scuse patetiche.

Stati Uniti e Cina dirigono le danze e cambiano il mondo nel bene e nel male. Per cui ci dividiamo i compiti: loro sfondano le barriere, noi europei fabbrichiamo tonnellate di distinguo che non spostano la terra, ma saturano l’aria. Però sentiamo il dovere di farlo, perché viviamo nell’era del politicamente, moralmente, tradizionalmente, umanamente, coscientemente, incoscientemente corretto. E soprattutto dell’unilateralmente e dell’invidiosamente corretto: come se il mondo fosse nato e finisse con noi, ci battiamo sempre contro, senza mai proporre un’alternativa al meccanismo per cui tutto dovrebbe cambiare, rimanendo gattopardescamente come è.

GIAN STEFANO SPOTO