DI MATTEO FORCINITI

C'è stata davvero tantissima Italia in questi 130 anni di vita che il Club Atlético Peñarol compierà il prossimo martedì. Questo anniversario, appena ricordato dal Parlamento uruguaiano, può essere anche l'occasione per ripassare le storie italiane che hanno accompagnato la vita di una delle squadre sudamericane più vincenti entrata a pieno diritto nella storia del calcio mondiale.

Prima di parlare del club bisogna però partire da un territorio e da una persona: Giovanni Battista Crosa. Questo emigrato piemontese partito nel 1751 da Pinerolo, sbarca a Montevideo nel 1765 dopo un soggiorno in Spagna dove sposa Francisca Pérez Bracaman. Una volta giunto nel "nuovo mondo" Crosa si stabilisce con la famiglia in una zona rurale a circa 13 chilometri dal centro della città dove apre un piccolo supermercato con annesso servizio di bar e ristorazione che diventa in poco tempo il punto di incontro degli abitanti del luogo. Sia nei documenti ufficiali che nel linguaggio popolare Pinerolo viene deformato in Peñarol, nome con il quale comincia a svilupparsi un quartiere operaio che nel corso degli anni seguenti accoglierà tante famiglie di immigrati (in maggioranza italiani).

Palacio Penarol

Nel luglio del 1890 l'impresa britannica "Central Uruguay Railway Company", presente già da tempo nel paese, compra 17 ettari di terreno in questa area di Montevideo. Pochi mesi dopo l'avvio delle attività gli impiegati e gli operai della ferrovia -inglesi, uruguaiani e discendenti di italiani- decidono di fondare un club sportivo chiamato CURCC (Central Uruguay Railway Cricket Club). L'inizio di questa storia porta la data del 28 settembre del 1891. Tra i 118 soci fondatori del club che tutti già chiamano Peñarol ci sono diversi cognomi italiani, tra cui: Massini, Bacigalupi, Bordigoni, Giudice. I colori del club, giallo e nero, si ispirano alla Locomotiva Rocket e sono anche i colori del sindacato delle ferrovie. Già alcuni mesi dopo la sua fondazione, il CURCC apre una sezione dedicata allo sport che diventerà presto il più amato dagli uruguaiani: il "football" come viene chiamato all'epoca.

Una foto del Penarol

 

Se è vero che gli inglesi sono stati i propulsori della creazione della squadra, gli italiani hanno offerto senz'altro un'impronta indelebile che ha caratterizzato tutta la storia dei "carboneros". Basta pensare che nei primi anni in cui il calcio muoveva i suoi primi passi, la popolazione del "barrio" era quasi per la metà italiana e molti uruguaiani che si definivano tali erano discendenti di italiani. Non è un caso, infatti, che il tentativo inglese di ribattezzare il quartiere "Nueva Manchester" non è andato mai in porto dato che per tutti rimaneva sempre la zona del piemontese Giovanni Battista Crosa. È proprio per questo motivo che nel 1913 il club cambia nome in CURCC Peñarol fino ad arrivare, l'anno seguente, alla denominazione che mantiene ancora oggi: Club Atlético Peñarol.

Luciano Alvarez

 

Il legame tra una delle squadre sudamericane più vincenti e l'Italia non è dato solo da una cittadina torinese. C'è qualcosa di molto più profondo. Ci sono calciatori, storie e curiosità.

A cominciare da quel soprannome -"Manya"- con cui si identificano ancora oggi i tifosi. L'origine di questa parola nasce il 26 luglio del 1914. A pronunciarla è Carlos Scarone, figlio di Giuseppe, un savonese arrivato nel 1887 per lavorare nell'emergente ferrovia uruguaiana.

Barrio Penarol

 

Carlos inizia a giocare nel 1909 nelle file del Curcc e in poco tempo comincia a far parlare di sé. Nel 1913 riceve un'allettante offerta economica dall'Argentina e l'anno seguente si trasferisce dagli odiati rivali del Nacional scegliendo così di abbandonare per sempre la squadra del cuore del padre. Quel cambio di casacca rappresenta un vero e proprio trauma familiare e le parole che lui rivolge al padre per spiegare la dolorosa scelta hanno fatto storia: "Che rimango a fare al Peñarol? A mangiare che? A mangiare merda? (quest'ultima frase in italiano). Con il tempo l'insulto si è trasformato in rivendicazione delle proprie origini per tutti i tifosi "aurinegros".

I trofei del Penarol

 

"Quando l'immigrato arriva nel nuovo paese costruisce una subcultura con forti richiami alla terra di origine" ha spiegato alcuni anni fa in un'intervista a Gente d'Italia Luciano Álvarez, storico, giornalista e scrittore uruguaiano. "Le istituzioni sportive o culturali offrono forme di relazioni sociali. In Uruguay, a differenza dei paesi vicini, il calcio è stato fin dai primi anni un fenomeno di massa molto popolare. Ecco, la squadra giallo-nera si inserisce in questo contesto, in una società che si stava profondamente trasformando: c'è una tradizione storica fin troppo evidente che collega gli italiani al Peñarol. È un fatto indiscutibile".

Probabilmente, per capire questo legame bisogna fermarsi un attimo al 1899 quando viene fondato a Montevideo il Club Nacional de Football, il suo storico rivale. Fin dalle origini il Nacional si autoproclama "la squadra creola" con i colori della bandiera di Artigas, proprio a sottolineare la vocazione nazionale del primo club creolo dell'America Latina.

"Come succede in ogni società, anche in Uruguay c'è stata una forte resistenza contro gli immigrati e, naturalmente, contro gli italiani. A tutto ciò ha contribuito anche la squadra tricolore, nei suoi primi anni di vita, con un discorso classista e razzista. Nei primi due decenni del novecento c'è stato un forte processo di popolarizzazione del calcio. Tra i "carboneros" militavano diversi giocatori dei settori più marginali, cosa sconosciuta nei primi anni del Nacional o almeno fino al 1912. Nel corso del tempo anche il Nacional si è aperto ai settori più popolari ma comunque sia c'è stata moltissima meno presenza di italiani rispetto al Peñarol" affermava l'autore del libro "Historia de Peñarol" scomparso nel 2018.

Nel libro di Álvarez (Aguilar, 2004), scritto con la collaborazione di Leonardo Haberkorn, si trovano alcuni particolari sulla storia della compagine peñarolense come quei turbolenti giorni di marzo del 1908: dei forti disaccordi all'interno della dirigenza inglese provocano uno sciopero dei lavoratori ferroviari che finisce per mettere a rischio la continuità della stessa squadra. Il quotidiano "La Tribuna Popular" pubblica un articolo in cui descrive la precaria situazione del club appena prima l'inizio del torneo. Quattro giorni dopo, sulle pagine dello stesso giornale, compare una lunga lettera d'indignazione firmata "Back II" che così si concludeva: "Peñarol no ha muerto, a despetto di maligne".

Le tracce di italianità nei 130 anni di esistenza del Peñarol le troviamo anche nei suoi calciatori più importanti: da Mazzucco a Schiaffino, l'elenco degli italouruguaiani che hanno reso celebre la squadra di Pinerolo è molto lungo. A dire il vero, fino agli anni cinquanta, quasi tutte le più grandi leggende del club erano figli o nipoti di italiani. Basta pensare alle prime due stelle, Lorenzo Mazzuco e Josè Piendibene, entrambi avevano i genitori italiani.

Jose Piendibene

Mazzuco arriva nel 1897 e vince subito le prime coppe uruguaiane; è ricordato per i suoi straordinari colpi di testa anche se muore in piena gioventù nel 1909. Le cronache narrano che incitava i compagni in campo al grido di "Come one, fellows!" con un forte accento italiano.

Piendibene era l'orgoglio dei ragazzi di Pocitos (un quartiere della capitale), molti dei quali condividevano con lui le stesse origini come ha raccontato Álvarez: "In quel complicato 1908, per via dello sciopero, i dirigenti sono costretti ad andare alla ricerca di giovani calciatori per la città e così riescono negli ultimi giorni ad iscrivere la squadra al torneo". Piendibene, detto "El maestro", gioca ad alti livelli fino al 1928 sia con il Peñarol che con la nazionale uruguaiana raccogliendo molteplici successi.

Carlos Scarone

In questo periodo, sulla scena calcistica internazionale, compare anche il centrocampista Rafael Sansone, figlio di salernitani che partecipa ai primi grandi successi della Celeste: campione olimpico nel '24 e nel '28. Si trasferisce poi in Italia, dove gioca diversi anni nel Bologna e chiude la carriera al Napoli. Il difensore Ernesto Mascheroni si laurea Campione del Mondo con l'Uruguay nel torneo organizzato in casa nel 1930 e in seguito fa due stagioni all'Ambrosiana-Inter. Sia Sansone che Mascheroni, giallo-neri durante gli anni 30, disputano anche alcune partite con la selezione azzurra.

L'elenco dei calciatori del Peñarol legati al Bel Paese non finisce qui. Alcuni anni dopo altri grandi sportivi scriveranno pagine importanti nella storia del club e della nazionale uruguaiana. A cominciare da Ernesto Vidal, nato a Buie d'Istria (al tempo territorio italiano) ed emigrato da bambino in Argentina. Sfrecciava sulla fascia sinistra del centrocampo con la maglia del Peñarol e dopo aver acquisito la cittadinanza uruguaiana ha giocato anche con la Celeste. Si dice che avesse tre patrie ma solo una gli ha regalato il tetto del mondo.

In quegli stessi anni ci sono altri due grandi giocatori protagonisti, due leggende del calcio: Juan Alberto Schiaffino e Alcides Ghiggia, le due icone del "Maracanazo", l'inaspettata vittoria dell'Uruguay contro il Brasile nella finale di Rio de Janeiro.

"Forse non è mai esistito un regista di tanto valore. Pareva nascondere torce elettriche nei piedi", questo il commento del giornalista Gianni Brera su Pepe Schiaffino. Per otto stagioni Schiaffino incanta la serie A (6 al Milan e 2 alla Roma), tra il 1954 ed il '58 gioca anche con la nazionale italiana per via delle sue origini: suo nonno paterno era un genovese che a Montevideo aveva aperto una macelleria.

Ghiggia è ricordato come l'autore del gol del 2 a 1 che ragala la vittoria alla Celeste facendo sprofondare nella disperazione il Maracanà nello storico 16 luglio del 1950. In Italia arriva nel 1953, alla Roma, dove rimane per 8 anni per poi fare un campionato al Milan. Anche lui gioca con gli Azzurri a fine anni cinquanta senza però lasciare traccia. Assieme a Schiaffino hanno formato una formidabile coppia che ha fatto sognare i tifosi "Manya" tra gli anni quaranta e cinquanta. 

Con Vidal, Schiaffino e Ghiggia, c'è anche il portiere di origini italiane Roque Maspoli: fanno tutti  parte de "La maquina del '49": una delle migliori epoche del club.

La storia più recente degli italiani al Peñarol si arricchisce con l'esperienza di Michele Fini, il vice allenatore sardo venuto in Uruguay insieme al fedelissimo Diego Lopez, ex bandiera del Cagliari e oggi allenatore. Nella stagione 2018-2019 il duo cagliaritano è riuscito a centrare la vittoria del torneo Clausura della Primera División e anche il titolo di campione assoluto del 2018.