di S. Reines-Djivanides  e Lorenzo Conti

Si vis pacem, para bellum – Se vuoi la pace, prepara la guerra. Proferito da noti politici dalla Seconda guerra mondiale in avanti a sostegno di spese militari gonfiate e discutibili scelte di politica estera su basi securitarie, questo aforisma latino risale a Publio Vegezio Renato, storico dell'Antica Roma del quarto secolo. Se da un lato questo detto ha un suo posto nella storia, dall'altro è ormai chiaro che non è più rilevante per il 2021 e gli anni a venire. Il dominio militare, reale o percepito, non sarà più in grado di garantire l'ordine mondiale, né risolverà la miriade di sfide globali che le persone dovranno affrontare in futuro.

I conflitti esplosi negli ultimi due decenni dimostrano chiaramente che "preparare la guerra" non ha portato la pace. Infatti, mentre si continuano a preferire approcci di tipo militare e securitario, i conflitti sono aumentati e si sono ingranditi. Secondo i dati del più recente Global Peace Index, il mondo oggi è considerevolmente meno pacifico rispetto al 2008, con un livello di peacefulness che è diminuito di anno in anno nove volte negli ultimi tredici anni.

Gli interventi militari negli ultimi vent'anni hanno comportato costi stratosferici, senza contribuire significativamente alla pace globale e pregiudicando la sicurezza delle persone nelle aree colpite da conflitti. Si stima che la guerra in Afghanistan abbia ucciso oltre 46mila civili e sia costata 2300 miliardi di dollari agli Stati Uniti (è costata 8,9 miliardi all'Italia). Le guerre in Iraq e in Siria sono costate altri 2000 miliardi, hanno causato la morte di migliaia di persone e hanno generato milioni di sfollati. La situazione in questi tre paesi rimane instabile e critica, con un'intera nuova generazione di giovani che nella loro vita hanno conosciuto unicamente la realtà della guerra.

Come purtroppo possiamo vedere, le conseguenze a lungo termine di conflitti prolungati e violenze dovranno essere sostenute soprattutto dai più giovani, che sono sempre più preoccupati per la direzione verso cui va il mondo.

Secondo le stime delle Nazioni Unite, nel mondo ci sono oggi 1,2 miliardi di persone di età compresa tra 15 e 24 anni, e si prevede che questo numero possa aumentare del 7% entro il 2030. Nelle regioni più fragili – dove avvengono la maggior parte dei conflitti –, il numero di giovani potrebbe aumentare del 62% entro il 2050 (+89% nell'Africa subsahariana; +28% nel Medio Oriente e Nord Africa). Un grandissimo numero di persone sta quindi crescendo in un mondo in cui i paradigmi tradizionali delle relazioni internazionali semplicemente non hanno più senso. I giovani si trovano di fronte a delle problematiche globali complesse – dal cambiamento climatico all'aumento delle disuguaglianze – che mettono sempre più a rischio la salute pubblica, la sicurezza e i mezzi di sostentamento.

In poche parole, non affrontare in modo efficace la crisi climatica e l'aumento delle disuguaglianze porterà a ulteriori conflitti che non potranno essere risolti con armi, truppe, addestramento o munizioni.

La pace può e deve essere costruita e deve essere fatto con l'inclusione dei giovani. La centralità dei giovani in materia di pace e conflitti è stata riconosciuta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha approvato la risoluzione 2535 su giovani, pace e sicurezza nel luglio 2020.

Oltre a sottolineare il ruolo dei giovani nel prevenire e risolvere i conflitti, questa risoluzione incoraggia gli Stati anche a coinvolgere i giovani nei processi decisionali, in ragione del loro ruolo unico e della loro sensibilità nel rispondere a questioni e dinamiche con una prospettiva di lungo termine.

Costruire la pace richiede investimenti finanziari e lo stesso tipo di supporto pubblico e politico che nel tempo ha ricevuto quell'antiquato aforisma latino di 1600 anni fa. Ci sarà bisogno di forza, audacia e coraggio da parte di politici e decisori nel non decantare le "soluzioni rapide" e nel dare giusto peso alla sicurezza e al benessere delle popolazioni rispetto agli interessi economici e geopolitici. Se possiamo imparare qualcosa da coloro che hanno promosso con tanta efficacia e tratto beneficio dalla corsa alle armi negli ultimi 20 anni è che "coloro i quali amano la pace devono imparare a organizzarsi efficacemente quanto coloro i quali amano la guerra" (Martin Luther King).